Coronavirus, cure nuove dall'ospedale Cotugno: «Serve un mix di farmaci, così salviamo i pazienti»

Coronavirus, cure nuove dall'ospedale Cotugno: «Serve un mix di farmaci, così salviamo i pazienti»
di Ettore Mautone
Venerdì 1 Maggio 2020, 12:00
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Quali sono i migliori farmaci utilizzabili per il trattamento della Sars Cov-2 ? In attesa di linee guida e protocolli uniformi torniamo nella trincea della rianimazione del Cotugno, un'eccellenza campana che si è distinta a livello nazionale nella fase critica dell'epidemia. Col primario Fiorentino Fragranza proviamo a stilare un bilancio della sua esperienza di terapeuta.
 


Quali sono le certezze su Covid-19?
«La malattia ha varie fasi. Una prima virale, in cui Covid 19, penetrato nelle cellule delle vie respiratorie si moltiplica attivamente dando luogo ad un malessere generale, febbre, tosse, talvolta dolori e congiuntivite. Se si riesce a bloccare qui la malattia ha un decorso benigno. Si usano antivirali, Kaletra, Remdesivir, la Clorochina, alcuni antibiotici, nulla di specifico. Molto dipende dalla soggettività della persona in termini immunitari e genetici».

E le altre fasi?
«Nella seconda si aggiungono gli effetti indotti dalla risposta immunitaria: la malattia si diffonde causando diverse conseguenze a livello polmonare».

Quali?
«Alterazioni infiammatorie che modificano la funzionalità e la struttura del polmone rilevati alla Tac. Gli scambi di aria tra polmone e sangue (ematosici) iniziano ad essere pregiudicati. L'ossimetria segnala un calo di saturazione, campanello d'allarme per procedere alla ospedalizzazione».

E la terza fase?
«È la più complessa: consiste in una disregolazione immunitaria e iperinfiammazione dovuta al rilascio massiccio di citochine pro-infiammatorie prodotte dal paziente stesso che definisce un quadro sistemico. Anziani e pazienti con patologie pregresse hanno un decorso con sintomi gravi. In linea di massima questo può verificarsi a qualsiasi età».

Quanto dura la malattia?
«Dalle 3 a 5 settimane. La polmonite interstiziale è solo la manifestazione iniziale e più evidente di una patologia sistemica (disfunzione multiorgano). I pazienti sviluppano spesso sintomi riconducibili ad una vasculite. Il virus aggredisce l'apparato respiratorio, il fegato, i reni e il cuore, procurando gravi disfunzioni cardiocircolatorie, inoltre il virus manifesta un certo tropismo per i tessuti cerebrali con gravi ripercussioni sulle funzioni neurovegetative, prima fra tutte la respirazione».

Quali terapie per evitare l'evoluzione in questa fase?
«Ci sono varie sperimentazioni in corso. Rileviamo anche una caduta dei linfociti B deputati a produrre anticorpi. L'infiammazione è l'epifenomeno di questa difficoltà immunitaria».

E dunque?
«Nei casi in cui si liberano troppe sostanze difensive pro infiammatorie, tra cui le Interleuchine, abbiamo usato, anche quando era off-label fuori dalle indicazioni per l'artrite (oggi in fase finale di sperimentazione con Aifa con il gruppo di Ascierto e Montesarchio) il Tocilizumab, un anticorpo monoclonale che blocca selettivamente Interleuchina 6. Di solito è lo stesso organismo che tende a creare una risposta compensatoria e soppressiva ma quando non accade abbiamo questa arma».

Quando va somministrato?
«I migliori risultati si ottengono precocemente, tra 24 ore prima e alcune ore dopo l'intubazione. È fondamentale capire quando gli indici infiammatori, sempre alti se c'è la febbre, assumono valori fuori controllo. La prognosi sarà tanto migliore quanto più si mantiene un equilibrio il sistema infiammatorio».

E il cortisone?
«Utilizziamo anche quelli, agisce su tutte le citochine, talvolta associandolo al Tocilizumab per non deprimere la risposta immunitaria».

Con quali risultati?
«Molto positivi, queste armi nei tempi giusti ci consentono di gestire molte situazioni critiche nel contesto di una terapia di sostegno alla modulazione della risposta immunitaria e infiammatoria».

In cosa consiste questa terapia di sostegno?
«Utilizziamo immunoglobuline polivalenti ad alto contenuto di IgA (anticorpi delle mucose ndr) ed IgM (anticorpi della memoria ndr) non specifiche ma che riteniamo possano contribuire a modulare e ridurre l'infiammazione. ricorriamo anche, in alcuni casi, a tecniche di rimozione selettiva delle citochine dal sangue in circolazione extracorporea».

E l'eparina?
«Usiamo anche quella: anzi l'abbiamo utilizzata, nella mia rianimazione, sin dai primi giorni dell'epidemia, ben comprendendo che l'infiammazione che riscontravamo comportasse un alto rischio trombotico emorragico come avviene anche in altre gravi infezioni sia batteriche sia virali».

E i sieri iperimmuni formati da anticorpi di soggetti guariti come suggerito da Giulio Tarro, primario emerito di questo ospedale?
«Potrebbe essere una strategia efficace: attendiamo il via libera del Comitato etico che al Cotugno è collegato con quello dell'Università Vanvitelli».

Da cosa dipende questo drammatico epilogo?
«Spesso dalla gravità delle condizioni dei pazienti che arrivano in rianimazione e dal coinvolgimento dei vasi sanguigni con relative alterazioni delle pareti.
Le forme vasculitiche, che portano a trombosi arteriose o venose, sono difficilissime da recuperare». 

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