Sanità al Sud, l'appello di Locatelli: «Basta tagli e risparmi, il tasso di mortalità infantile è inaccettabile»

Sanità al Sud, l'appello di Locatelli: «Basta tagli e risparmi, il tasso di mortalità infantile è inaccettabile»
di Lorenzo Calò
Lunedì 5 Luglio 2021, 08:00 - Ultimo agg. 17:19
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«Differenze territoriali inaccettabili, che violano il principio di tutela della salute costituzionalmente garantito a ogni cittadino. Dovremo mettere in atto ogni sforzo perché tali disparità vengano eliminate». Il professor Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia del Bambin Gesù, ordinario di Pediatria alla Sapienza, è presidente del Consiglio superiore di sanità e, dallo scorso 17 marzo, coordinatore del Cts, il Comitato tecnico-scientifico che affianca il governo nella complessa gestione sanitaria dell'emergenza Covid. Ma questa volta non è di Sars Cov 2 che parla. I dati choc emersi dal Report della Società italiana di Pediatria sulla mortalità infantile e neonatale nelle regioni del Mezzogiorno non lo hanno lasciato indifferente né come studioso, né come medico, né come accademico, né come responsabile di un organo di consulenza scientifica del ministero della Salute. 

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Professore, che idea si è fatto? Davvero l'Italia sconta un deficit assistenziale derivante da un divario geografico di cittadinanza?
«In premessa devo dire che conosco il rigore scientifico e la cura nella metodologia della ricerca di De Curtis, che è uno degli autori dello studio.

Due valutazioni immediate. La prima: l'Italia, nel complesso, come Paese, presenta tassi di mortalità infantile tra i più bassi del mondo. E questo va ascritto anche a merito del nostro sistema sanitario nazionale. La seconda: colpisce l'eterogeneità in ambito nazionale, dei tassi di mortalità neonatale e infantile molto più marcata nelle aree del Mezzogiorno. Un dato per la verità non nuovo ma oggi assolutamente inaccettabile».

Come se lo spiega?
«Le cause possono essere molteplici ma preoccupa molto il dato della migrazione da Sud a Nord per ottenere una risposta soddisfacente, in termini di assistenza, anche in caso di prestazioni sanitarie del tutto ordinarie. Capirei tali spostamenti in relazione a trattamenti complessi come i trapianti d'organo o le terapie geniche, ma non sempre si tratta di questo. Ed è chiaro che tale eccesso migratorio-assistenziale produce anche degli effetti negativi sulla sostenibilità finanziaria del nostro sistema sanitario pubblico».

Certo, fa impressione leggere nel rapporto che a parità di standard assistenziali tra Nord e Sud si sarebbero potuti salvare almeno 200 bambini...
«Glielo dico con molta chiarezza: va modificato il criterio di verifica sulla validità e la sostenibilità del nostro sistema di assistenza».

In che senso?
«Nel senso che il paradigma dell'efficienza non può e non deve essere basato unicamente sul criterio di contenimento della spesa e di mantenimento dei parametri di budget. Le verifiche di efficacia ed efficienza vanno fatte essenzialmente sulla capacità del nostro sistema sanitario di dare risposte alle reali esigenze di salute. E quindi va bene tener presenti i criteri di controllo della spesa ma prima di tutto va validata l'adeguatezza della risposta sanitaria e la capacità di venire incontro alle esigenze del malato». 

La sanità pubblica, specie al Sud dove molte Regioni sono uscite da poco anche da anni di commissariamento nel settore sanitario, chiede invece ai manager di risparmiare.
«Ma i manager non devono avere solo l'obiettivo di ridurre i costi. Vanno tagliati gli sprechi ma la valutazione sul loro operato va fatta soprattutto in termini di capacità di risposta al bisogno di salute».

Il Mezzogiorno paga anche scelte sbagliate nella individuazione di manager e dirigenti?
«Chi ha la responsabilità politica delle scelte dei manager e della dirigenza medica deve comprendere che il criterio di selezione va unicamente basato sulle comprovate capacità, competenze e profili di assoluta affidabilità delle figure di vertice. E poi c'è anche un altro elemento a mio giudizio importante da tener presente».

A cosa si riferisce?
«Alla necessità di trattenere presso le strutture assistenziali, ospedaliere, sanitarie del Mezzogiorno, le risorse migliori: colleghi di preparazione eccellente, formati al Sud ma poi non assorbiti nella rete dell'assistenza. Ormai al Paese si impone una riflessione socio-politica non più rinviabile sul modello assistenziale che deve essere omogeneo in ogni regione. I direttori generali delle Asl e delle aziende ospedaliere devono capire che non può essere la politica ma esclusivamente la competenza il criterio di selezione».

Come si potrà ridurre questo gap?
«Certamente il Pnrr rappresenta un'occasione irripetibile, grazie alla disponibilità di risorse finanziarie e alla ricchezza di progetti di implementazione specifici, per abbattere tali marcate differenze territoriali. L'obiettivo è convogliare tutti gli sforzi per garantire uno standard assistenziale soddisfacente nel Mezzogiorno anche per quella che viene genericamente definita assistenza ospedaliera a bassa intensità».

Eppure al Sud esistono punte di eccellenza nella rete ospedaliera pubblica...
«Certamente è così. Va al riguardo condotta un'ampia analisi delle cause che hanno determinato questo gap per poi mettere in campo le strategie migliori per garantire prestazioni adeguate in base alle necessità dei vari contesti regionali».

Lo studio evidenzia forti criticità anche nella popolazione immigrata. Il Paese da questo punto di vista non è ancora maturo?
«L'Italia offre un modello di welfare universale. Purtroppo, come si evince dal rapporto, i figli di genitori stranieri presentano tassi di mortalità infantile e neonatale più elevati con una evidente preponderanza nelle aree del Centro, del Sud e delle isole. Credo che qui il problema vada affrontato in termini di inclusione culturale e sociale».

C'è più diffidenza o più scarsa fiducia?
«Credo che soprattutto nelle prime fasi della malattia si sconti una certa divaricazione culturale e sociale per vincere la quale occorre uno sforzo proattivo maggiore in termini di inclusione e prossimità. La diffidenza alimenta l'indifferenza e viceversa. Un Paese culturalmente maturo ed evoluto necessita di un approccio progressivo anche sotto questo aspetto». 

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