Presidente Dompé, la ricerca farmaceutica cresce anche in Italia ma allora perché nel nostro Paese le industrie del settore non sono riuscite a produrre vaccini anti-Covid?
«Io credo che mai come ora stiamo vivendo l'era dell'economia della conoscenza - risponde Sergio Dompé, presidente di Dompé farmaceutici e coordinatore della Task force Salute del B20 che ieri a Napoli ha inaugurato un nuovo laboratorio di ricerca con 40 ricercatori - e la conoscenza è pervasiva, diffusa e integrata. Ormai da anni l'Italia ha una presenza importante nel mondo della ricerca scientifica, soprattutto nelle Scienze della vita, e l'industria farmaceutica nazionale condivide con la Germania il primato in Europa per la maggiore capacità produttiva e il maggiore export, circa il 72% del sistema Paese. Per i due vaccini principali, Pfizer e Moderna, è stata utilizzata una tecnologia nuova Rna che anche l'Italia non avrà difficoltà ad avere nel tempo: ma è chiaro che nell'immediato non abbiamo potuto fare, nulla mentre è vero che ci sono molti stabilimenti da noi che contribuiscono al confezionamento dei vaccini».
Questo vuol dire che non se ne farà più nulla o restiamo anche noi in corsa?
«Anche in Italia queste possibilità ci sono.
In che modo, presidente?
«Vorremmo che fosse garantita la massima collaborazione tra pubblico e privato, tra Paesi diversi, rafforzando il ruolo dell'Ue che si è ritrovata unita su un obiettivo così importante, spingendo imprese e università a lavorare insieme. La piattaforma Exscalate che abbiamo presentato a Napoli risponde proprio a questo minimo comune denominatore: va però inglobata in un network di conoscenza ed organizzazione produttiva mondiale. Perché più che fare nazionalismi, che mi sembrano sempre più fuori contesto, oggi dobbiamo chiederci se l'Italia contribuisce alla gemmazione di questo network. E la risposta è sì perché ha capacità produttive e di ricerca di assoluto rilievo. Poi c'è l'ambizione di puntare al risultato finale ma bisogna essere consapevoli che non esiste alcuna certezza che ci riusciremo proprio noi: sappiamo però che oggi tutto il sistema scientifico, universitario, clinico e industriale, oltre che diagnostico e biomedicale, sta lavorando con grandissima lena».
Fino a che punto la parte pubblica è consapevole di dover incoraggiare e sostenere questo obiettivo?
«Le osservazioni da fare sono due e solo in apparenza contraddittorie tra di loro. La prima: questa pandemia ha cambiato radicalmente le cose. Oggi serve un'organizzazione completamente nuova con un coraggio e una disponibilità maggiori del passato per sostenere la ricerca privata attraverso un piano integrato tra tutti i Paesi. La seconda osservazione riguarda il ruolo della politica che normalmente arranca nei confronti di sfide così evolute. Devo dire che l'attuale governo Draghi, in gran parte dei suoi componenti, è una garanzia proprio ora che dobbiamo dimostrare da italiani di riuscire a superare l'emergenza. E i dati economici di questi giorni indicano che ci stiamo riuscendo».
Napoli con l'iniziativa anche di Materias vede già pubblico e privato insieme: si può replicare anche in tutto il Mezzogiorno?
«È sicuramente un'opportunità dal punto di vista imprenditoriale. Io non sono venuto a Napoli per buonismo ma perché ho trovato un microclima culturale e scientifico del sistema universitario a dir poco ideale, e una grande disponibilità di talenti formati correttamente dagli atenei, con grandissima voglia di fare e con costi molto bassi. Le condizioni ideali, insomma, per investire nella scienza: mi auguro che il mio esempio venga seguito anche da altri perché la qualità delle risorse umane qui è assoluta».
Pensa che il valore giovani del Sud sia davvero un valore aggiunto?
«Venga a visitare le mie aziende, lo vedrà con i suoi occhi».