Don Stanislaw Dziwisz arcivescovo di Cracovia: «L'Europa ha smarrito la via dopo la caduta del Muro»

Don Stanislaw Dziwisz arcivescovo di Cracovia: «L'Europa ha smarrito la via dopo la caduta del Muro»
di Angelo Scelzo
Martedì 29 Marzo 2022, 12:30 - Ultimo agg. 30 Marzo, 07:17
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Era ancora in vita Giovanni Paolo II quando, nel 2004 l'Unione Europea aprì le porte al blocco di ben otto Paesi che avevano vissuto, e patito, l'esperienza del socialismo reale. Dopo il crollo del Muro di Berlino, quindici anni prima, cadeva ogni residuo della vecchia cortina di ferro. In tutto quasi 75 milioni di persone con l'ago della bussola continentale orientato in un'area Centro-orientale che realizzava il sogno di papa Wojtyla dell'Europa dai due polmoni, estesa dall'Atlantico agli Urali. Il segno religioso di un atto che indicava anche sul piano politico una forte identità culturale, era stata la proclamazione, nel 1980, a co-patroni d'Europa, insieme con San Benedetto, dei due santi fratelli slavi, Cirillo e Metodio, ai quali fu dedicata anche l'Enciclica Slavorum apostoli. 

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Occorre partire da qui per guardare più a fondo, accanto alle migliaia di vittime sul campo, le ferite di una guerra devastante su tutti i fronti. Mai come durante il pontificato di Wojtyla i paesi dell'Est si erano sentiti così vicini all'Europa e anzi stessi pienamente europei.
«Ho ben presente il tempo in cui interlocutore del Papa, per parte sovietica, era Michail Gorbacev, il leader di svolta in un Paese in grande trasformazione.

E ricordo una frase che Giovanni Paolo II ripeteva spesso anche nei colloqui con qualche suo emissario in Vaticano: I Paesi dell'est, (meglio: Centro-orientali) non devono entrare in Europa, perché sono già Europa».

A parlare, da una Polonia che vive a fondo, come Paese di frontiera, il dramma dell'invasione russa all'Ucraina, è un testimone diretto e di primo piano di quegli anni, don Stanislaw Dziwisz lo storico segretario di Papa Wojtyla, poi suo successore come arcivescovo-cardinale di Cracovia e oggi emerito della diocesi jagellonica.
«Vivo con dolore e angoscia per le tante vittime, i feriti, le distruzioni di città e villaggi questa guerra che Papa Francesco ha definito giustamente ripugnante. È difficile anche trovare le parole per esprimere lo sconcerto per tutto quello che sta avvenendo nel cuore dell'Europa. E se penso alla visione di pace che il primo Papa slavo della storia ha indicato in particolare proprio per questo continente viene da rammaricarsi per la grande opportunità sciupata davanti alla storia».

Può essere individuato, a suo giudizio, un punto di rottura che ha mandato in frantumi quelle speranze?
«Direi non uno, ma molti. Proverò a indicarli, ma intanto visto che lei parla di speranza, vorrei dire che essa viene ancora una volta dalla incessante predicazione di pace di Papa Francesco. Abbiamo pregato con lui e per lui, noi vescovi polacchi, nella celebrazione penitenziale conclusa con l'Atto di affidamento della Russia e dell'Ucraina, al cuore Immacolato di Maria. È stata una preghiera stupenda uscita dal cuore di un uomo di pace. Nelle sue parole è risuonato l'eco di tutte le invocazioni dei pontefici della modernità, da Benedetto XV a Pio XII, come da Giovanni XXIII a Papa Montini e naturalmente a San Giovanni Paolo II, il papa del Mai più la guerra e della grande assemblea di pace di Assisi; il papa della consacrazione di tutto il mondo a Maria, celebrata a Fatima (dalla fame e dalla guerra liberaci! Dalla guerra nucleare e da ogni genere di guerra liberaci!) e ripetuta solennemente in piazza San Pietro l'8 ottobre durante il grande Giubileo dell'anno Duemila».

Quasi non prende fiato don Stanislao ripensando a quel tempo per raccontarlo e raccordarlo alle drammatiche vicende dell'oggi.
«In questo contesto così triste non si può parlare, e sperare, di Europa senza ripensare all'attualità e alla profezia di alcuni elementi essenziali. Il primo l'ho già accennato, l'unità sostanziale di un'Europa dei popoli e delle culture, l'Europa del respiro a due polmoni, fortemente segnata dalle comuni radici cristiane. L'altro, importante e non sempre sottolineato abbastanza, è l'atteggiamento che papa Wojtyla ha sempre manifestato verso la transizione al nuovo ordine dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda. Si è sempre parlato dell'anticomunismo del papa, ma in pochi hanno ricordato le sue riserve sul capitalismo. Fu chiaro già nel 1989, quando il muro era appena crollato: Non penso, disse, che sia avvenuta una vittoria del capitalismo. Per molti era stato proprio il papa a determinare quell'insperato rivolgimento della storia. Ma era lui il primo a mettere in guardia e a segnalare i pericoli di un capitalismo che si apprestava ad aprire il suo grande mercato luccicante ma spesso illusorio in quella parte d'Europa. Il comunismo è crollato perché si trattava di un Errore. A vincere, ammoniva il papa, era stato lo Spirito».

Ritiene quindi che in questa transizione mancata, o almeno imperfetta, sia la radice del disastro che è ora sotto i nostri occhi?
«Stiamo parlando di una guerra di aggressione, di un attacco proditorio di una nazione sull'altra. Le immagini di devastazione sono sotto gli occhi del mondo, così come il numero delle vittime e la sofferenza di migliaia di persone costrette ad abbandonare le loro città e le loro case. Non si può tacere tuttavia sulla considerazione espressa dal segretario di Stato, cardinale Parolin, quando ha osservato che non si è stati capaci di costruire, dopo la caduta del muro di Berlino un nuovo sistema di convivenza fra le nazioni che andasse al di là delle convenienze economiche. La guerra mette il dito anche e principalmente su questa piaga. Di fronte al disastro di questi tempi è impossibile non pensare a quella visione piena della storia che consentiva a Giovanni Paolo II di offrire prospettive comuni alla vicenda umana e a quella religiosa. Erano gli anni della glasnost e della perestroika, con la ostpolitik vaticana che aveva preparato il terreno per l'avvento di Solidarnosc e l'espansione, in tutta quell'area continentale, dei movimenti ispirati alla democrazia e alla libertà. Proprio in Ucraina, il papa pochi anni dopo la caduta del Muro, indicò la strada per una ricomposizione del tessuto lacerato dagli anni di regime totalitario. I vescovi ucraini furono riconosciuti come ordinari dal Vaticano e così poté rinascere la chiesa Latina con l'arcivescovo di Leopoli che ritornava alla sua residenza dopo anni di esilio. Visione e coraggio, ma soprattutto il senso forte di un'unità trasmessa dalla storia».

C'è paura anche nella Chiesa che l'invasione possa estendersi in Polonia?
Appena una pausa. E subito dopo un'aggiunta: «Ritorno alla visione di Giovanni Paolo II. Mi viene in mente il suo scetticismo nella fase in cui, dopo Gorbacev, e la dissoluzione dell'Unione sovietica cominciò a rifarsi vivo e rinascere il sentimento di unità russo. Di fronte all'intenzione di adottare nuovamente l'Aquila bicefala dell'impero, Giovanni Paolo II non nascose il suo stupore. Speriamo solo, osservò, che almeno non avrà più corone».

Non corone, ma spine sì. E tante. 

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