Renzo Arbore e il vino: «Quelle bevute con Bellavista e il talk show mai realizzato»

«Quando ero ragazzo il vino si beveva quasi sempre annacquato_ il vino schietto, assoluto, era una rarità ma quando capitava andava giù una bellezza»

Renzo Arbore
Renzo Arbore
di Maria Chiara Aulisio e Gerardo Ausiello
Martedì 6 Febbraio 2024, 12:00 - Ultimo agg. 11 Febbraio, 12:00
6 Minuti di Lettura

Eccentrico, istrionico, versatile. Se fosse un vino, Renzo Arbore probabilmente sarebbe un rosato. Visti i suoi natali pugliesi, l’abbinamento sarebbe presto fatto: Arbore uguale rosato del Salento, una terra magica dal punto di vista vitivinicolo che, con l’abilità tecnica di sapienti enologi, riesce a plasmare vini potenti ma eleganti al tempo stesso. Ma quando si parla dello showman, artista poliedrico e inventore dell’Orchestra Italiana, che nella sua carriera ha il merito di aver scoperto tantissimi talenti (quanto mancano oggi questi mecenati!), sarebbe un peccato mortale dimenticare il legame inossidabile con Napoli e l’essenza partenopea. E allora, più che un rosato salentino (anche perché Arbore è nato a Foggia), vediamo l’inesauribile Renzo più vicino a un rosato campano. Lui, così vulcanico, non può che somigliare a un rosato dei Campi flegrei, luogo di armonie e contrasti, dove lo spirito dionisiaco e quello apollineo convivono e si mescolano continuamente, dove la terra trema e si acquieta, in un temibile ed eccitante ritmo del divenire che dura all’infinito sprigionando metalli e minerali che rendono ogni bottiglia particolare e irripetibile. Pensando a un vitigno che contiene in sé tutte queste caratteristiche, salta subito alla mente il divino Piedirosso, che dalle nostre parti chiamano Per e palummo per i chicchi d’uva di colore rosso come le zampe dei colombi. Sì, caro Arbore, non c’è più alcun dubbio: fatta una rapida analisi sensoriale, ti proclamiamo ad honorem Piedirosso dei Campi Flegrei. Da gustare d’un fiato pensando già alla prossima bottiglia o anche da conservare, per una calma e profonda evoluzione, con la certezza che possa riservare tra qualche anno ancora gioie ed emozioni. 

Video

Se fosse un vino secondo noi sarebbe un rosato salentino.
«Un rosato salentino?».

Considerando che ha natali pugliesi sì. Anche se il suo carattere vulcanico potrebbe renderla più simile al rosato dei Campi Flegrei.
«Secondo me sono una birra: “meditate gente, meditate”.

Ve la ricordate la pubblicità? Per nove anni ho fatto da testimonial alla grande birra nazionale. Ora volete dirmi che sono un rosato?».

«Birra e sai cosa bevi», ha ragione, fu uno slogan memorabile.
«Ma davvero. Ricordo che quando partimmo con la campagna pubblicitaria la birra veniva considerata una bevanda estiva, dissetante e basta, da abbinare alla pizza, al massimo a un panino. Beh, bastarono un paio di quegli spot per incrementarne il consumo in tutto il paese. Alla fine si beveva pure con il ragù».

Non starà mica dicendo che beve la birra col ragù?
«No per carità, io vado di rosso anche se ammetto di non essere un gran bevitore ma ho una discreta familiarità con il vino pugliese, il Primitivo di Manduria di San Severo resta uno dei miei preferiti».

Insieme con il rosato. Dica la verità: il nostro abbinamento è azzeccato.
«Certo che sì, è azzeccatissimo. Amo la birra, è vero, ma il rosato del Salento è strepitoso. Mi piace assai con le linguine con le cozze, la mia debolezza, belle piene d'olio, la pasta adda sciulià, deve scivolare in bocca».

Ha un'azienda preferita?
«A Monteroni c'è Apollonio, fanno vino dal 1870: Negramaro e Primitivo e anche una splendida Malvasia. Non sono un cultore ma un poco me ne intendo. La mia famiglia aveva un bel vigneto a Cervaro, poi lo cedemmo a un vicino di Foggia, nessuno di noi avrebbe potuto occuparsene. In quegli anni però qualcosa sul vino l'ho imparata».

Bevute memorabili.
«Quelle del mio periodo napoletano sono state senza dubbio le migliori».

Buon vino non mente.
«Il buon vino non mente mai soprattutto quando ti regala il piacere di trascorrere una serata tra amici a suon di brindisi possibilmente senza esagerare. Sono sempre stato piuttosto moderato dal punto di vista alcolico, se devo sgarrare lo faccio col cibo ma devo ammettere che il vino campano è insuperabile».

Uno su tutti.
«Il Gragnano. Lo bevo, penso a Totò e rido da solo. Come si può dimenticare Miseria e nobiltà. Ve la ricordate la famosa scena del paltò di Napoleone? Vai dirimpetto dal vinaio a nome mio, di don Pasquale il fotografo, e ti fai dare due litri di Gragnano frizzante... assicurati che sia Gragnano! Tu lo assaggi; se è frizzante, lo prendi, se no...».

«Desisto».
«Guardo i suoi film decine di volte e non mi stanco mai. Gragnano a parte anche la Falanghina mi piace, quella di Avellino. Adoro il suo profumo, floreale e fruttato, è come se sapesse di agrumi. D'estate è na meraviglia».

Apriamo il cascione dei ricordi enologici.
«Uno ce l'ho».

Qual è?
«Il sapore del vino assoluto».

Che cosa intende per vino assoluto?
«Quando ero ragazzo il vino si beveva quasi sempre annacquato, qualche volta mischiato con la gazzosa. Il vino schietto, assoluto, era una rarità ma quando capitava andava giù una bellezza».

Continuiamo a scavare nel cascione.
«Questa è carina, ve la racconto. Con una banda di cape fresche come la mia d'estate si faceva sempre una tappa a Capri. Affittavamo un gozzo, al timone c'era don Vincenzo, marinaio del posto che si offriva di portare da mangiare per tutti. Pensavamo a un panino, un'insalata caprese, un poco di frutta. Macché. Verso le due, trenta gradi e sole a picco, don Vincenzo apriva il cesto e con orgoglio tirava fuori l'agnello con le patate».

Un pranzetto leggero leggero.
«Soprattutto per la damigiana di vino rosso che lo accompagnava».

Scommettiamo che a bordo c'era pure De Crescenzo?
«Con Luciano mi viene in mente un'altra storia. Una sera davanti a una bella bottiglia di Gragnano cominciammo a sfrenesiare, ci balenò l'idea di una trasmissione tv: “In vino veritas”. Doveva essere una sorta di talk show con gli invitati che discutevano tra loro bevendo vino».

Come trasformare in osteria uno studio televisivo.
«Ma no, giusto un paio di bicchieri, senza esagerare. Quanto sarebbe bastato per disinibire l'interlocutore e tirargli fuori qualche verità un po' più friccicarella. Alla fine non se ne fece niente, e fu un peccato, ma cederei volentieri il copyright. Meditate gente, meditate». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA