Bruno Vespa e il vino: «Galeotto fu il Barbera, amo il rosso con il sushi»

«La Campania è stata senza dubbio una delle prime regioni rivelazione: oggi produce vini fantastici»

Bruno Vespa
Bruno Vespa
di Maria Chiara Aulisio e Gerardo Ausiello
Lunedì 12 Febbraio 2024, 08:00
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Aquilano di nascita, romano d'adozione, pugliese per passione. Se fosse un vino vibrante come un bianco, Bruno Vespa sarebbe di sicuro un Trebbiano. Vitigno simbolo dell'Abruzzo, apparentemente semplice ma capace di stupirti se coccolato con passione e cura. La rivoluzione scatta quando dall'affinamento in acciaio si passa a quello in legno: è lì che le uve trebbiano si esaltano, sfoderando uno spirito camaleontico con un finale lunghissimo e mozzafiato. Ma Vespa, che nella sua intensa carriera ha messo a segno colpi giornalistici memorabili (uno su tutti l'intervento di Papa Giovanni Paolo II in diretta tv, era il 13 ottobre del 1998) «resistendo» su Rai Uno a governi di ogni tipo e colore, somiglia certamente più a un rosso. In omaggio al suo legame con la Capitale, potrebbe allora ricordare un Cesanese del Piglio, floreale e fruttato, che ben si abbina a salumi e selvaggina e che pure regala grandi soddisfazioni, soprattutto a chi da un vino non pretende troppo. Ma, a pensarci bene, il suo omologo nell'universo enologico è senza dubbio un altro: il Primitivo di Manduria, che non a caso Vespa, dal 2008, ha deciso di produrre nella sua masseria in Salento dove peraltro invita ogni anno rappresentanti istituzionali e politici di ogni area per confronti a tutto campo, come in un moderno simposio. Già, proprio il Primitivo, rosso potente e strutturato, con gradazioni alcoliche importanti, a cui finalmente è stata restituita dignità (se si pensa che in passato lo si utilizzava addirittura come uva da taglio!). Un nettare che accompagna piacevoli pasti ma che, con la sua aura magica, è il compagno perfetto per meditare. Sulla politica o, meglio ancora, sulla vita. 

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Bruno Vespa, se fosse un bianco secondo noi sarebbe un Trebbiano d'Abruzzo.
«Il vino del mio cuore: riconoscibile, unico, capace di grandi invecchiamenti.

Mi piace l'idea di essere abbinato a un Trebbiano».

Quindi abbiamo visto giusto.
«Giustissimo. Sono un vero e proprio cultore del Trebbiano. Sapete qual è il produttore migliore in assoluto?».

Ce lo dica lei.
«L'azienda Valentini, in provincia di Pescara, fanno vino dal 1600. Ho conosciuto anche il fondatore, Edoardo, uomo di grande personalità e carisma. Oggi a guidare la cantina c'è suo figlio Francesco».

Passiamo al rosso, direttore.
«Primitivo di Manduria. Apparentemente duro ma in realtà morbido, romantico, bevibilissimo. Mi riconosco in pieno».

Sarà forse perché lo produce?
«Quella è stata una sfida impegnativa e affascinante. Il vino è una cosa seria, richiede passione, genialità, investimenti, enologi e agronomi di prim'ordine. L'ultima cosa che mi sarei aspettato è che il mio Primitivo riuscisse ad abbinarsi perfettamente anche con i piatti giapponesi».

Sfida vinta, dunque.
«Direi di sì. Siamo ancora molto piccoli eppure distribuiamo in ventisei paesi del mondo. Sapere che il tuo vino la stessa sera lo stanno bevendo a Londra, Tokio, Melbourne oppure a Napoli, è una bella soddisfazione».

A proposito di Napoli, più volte ha dichiarato di essere un grande amante della città. Che cosa beve quando viene da queste parti?
«La Campania è stata senza dubbio una delle prime regioni rivelazione. Ricordo che quando negli anni '70 chiesi a Luigi Veronelli, una delle figure centrali nella valorizzazione del patrimonio enogastronomico italiano, di consigliarmi del vino, il maestro escluse subito quello campano».

E perché?
«Riteneva che fosse ancora troppo presto e aveva ragione: la vera rivoluzione è arrivata qualche anno dopo. E adesso la Campania produce vini fantastici, sia bianchi che rossi».

Il settore enologico è sempre in evoluzione.
«Una trasformazione continua alla quale non è facile star dietro. Un tempo nei ristoranti di un certo livello si beveva solo Barolo, Amarone, Chianti, raramente qualche siciliano. Nessuna traccia della Campania, della Puglia, dell'Abruzzo, regioni che nel tempo hanno avuto uno sviluppo straordinario».

Una curiosità: da aquilano d'origine perché ha scelto la Puglia e non l'Abruzzo per il suo vino?
«L'Abruzzo è una regione enologicamente matura. Ha già dato il meglio di sé con una spettacolare rivoluzione durata più di 30 anni. La Puglia, invece, ha ancora enormi potenzialità, i suoi vini di alta qualità si conoscono poco. Basta pensare che le sole cantine in vigna nell'area del Primitivo sono quelle di Gianfranco Fino e la mia».

È vero che ha dedicato un vino al nome del suo cane?
«Certo che è vero: Zoe, ottimo Fiano passito».

Poi c'è Bruno.
«Il più economico. E vi spiego perché. Sono un personaggio nazionalpopolare e ho voluto che anche il pubblico, il più vasto possibile, si avvicinasse a questo vino. Grazie a Riccardo Cotarella, grande enologo, vale più di quel che costa. Ma la rivelazione di quest'anno è un'altra».

Ci faccia sognare.
«Donna Augusta, consacrato a mia moglie, grande bianco da invecchiamento. Lo scorso anno Bibenda, la Fondazione italiana sommelier, lo inserì tra i primi dieci vini italiani e ora anche le guide più importanti gli hanno riconosciuto un buon punteggio. Nelle degustazioni cieche nessuno prende il Donna Augusta per un vino pugliese, il più delle volte lo scambiano per un ottimo francese».

Come è nata la sua passione per il vino?
«Mi è sempre piaciuto berlo e poi scrivendone per 40 anni ho conosciuto i maggiori vignaioli italiani. Ricordo ancora quando nel 1986 fui invitato ad Asti da Vittorio Gancia a moderare un dibattito sulla crisi del vino italiano dopo lo scandalo del metanolo».

Momento drammatico.
«Fu un disastro. Prima di partire telefonai a Giacomo Bologna, vignaiolo dell'astigiano, di cui ero diventato cliente grazie a Veronelli. Venne a prendermi al treno, alle 7.30 del mattino, pochi minuti dopo facevamo colazione con formaggio, prosciutto e Barbera nella sua cantina. Davanti a quella bottiglia è nata la mia voglia di mettermi in gioco nel mondo del vino».

Ultima domanda. Che cosa risponde a chi dice che il vino fa male?
«Ma cosa dicono? Fa benissimo, il rosso in particolare. Basta berne poco, poco e di buona qualità». 

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