Raggi e il gioco dei tre rom

Raggi e il gioco dei tre rom
di Federico Monga
Sabato 26 Maggio 2018, 07:30 - Ultimo agg. 20:27
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L’ultima pensata di Virginia Raggi è il «gioco dei tre rom». È andata più o meno così. Sul banchetto della campagna elettorale il sindaco di Roma aveva promesso la linea dura e lo sgombero immediato dei campi. Una volta eletta, dovendo fare i conti con la realtà, ha iniziato a mischiare le carte, passando a più miti consigli. Lo sgombero? Dopo. Prima organizziamo il censimento. Al momento di mettere le carte in tavola, la scoperta che anche il censimento è facile da annunciare ma assai più complicato da realizzare. I rom si barricano nelle baracche e non rispondono nemmeno alle domande dei vigili urbani. Anche perché non hanno capito dove sarebbero andati a finire. 

E allora vai con l'azzardo, in nome della democrazia diretta tanto cara ai grillini: «Cari romani, se vi prendete (temporaneamente) in casa un nomade vi arriverà un contributo economico». Ma, ci possiamo scommettere, la democrazia diretta ammalia fino a quando il cittadino dice la sua con un clic, magari nascondendosi dietro uno pseudonimo. Ammalia molto meno quando arriva nel giardino di casa nostra. Non sappiamo se la delibera, scovata dal Messaggero, darà i suoi frutti e se qualche romano accetterà il «bonus della zingara». Di certo sappiamo bene quali sono i compiti dello Stato e i doveri dei cittadini, anche i materia di accoglienza.

La risposta migliore la diede, tre anni fa, Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency, replicando a chi le chiedeva perché non ospitasse i migranti a casa sua: «E perché dovrei? Vivo in una società e pago le tasse. Pago le tasse così non devo allestire una sala operatoria in cucina quando mia madre sta male. Pago le tasse e non devo costruire una scuola in ripostiglio per dare un'istruzione ai miei figli. Ospitare un profugo in casa è gentilezza, carità. Creare - con le mie tasse - un sistema di accoglienza dignitoso è giustizia. Mi piace la gentilezza, ma preferisco la giustizia». E la carità, cara Raggi, non si può comprare.

federico.monga@ilmattino.it
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