Medina, los invencibles e una Torretta per urlare «Mamma li Turchi»

A spasso per la Napoli spagnola

San Giacomo degli Spagnoli
San Giacomo degli Spagnoli
di Vittorio Del Tufo
Domenica 14 Maggio 2023, 08:59 - Ultimo agg. 15 Maggio, 07:31
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«No existe la muerte. La gente solo muere cuando nos olvidamos de ellos» (La morte non esiste. Le persone muoiono solo quando ci dimentichiamo di loro)
(Isabel Allende)

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Un luogo della città, più di altri, ci riporta ai tempi della Napoli spagnola. È un luogo della memoria: la Torretta di Chiaia, nata come torretta di avvistamento nel 1563, ai tempi del viceré duca d'Alcalà, che fu testimone diretto di un incursione dei pirati saraceni. Il 25 maggio 1563 i turchi sbarcarono sulla spiaggia e si diressero velocemente verso Palazzo d'Avalos del Vasto, nell'attuale via dei Mille. A guidarli era il leggendario pirata Uccialì, il cui obiettivo era seminare il terrore, saccheggiare il borgo e, soprattutto, sequestrare la bella marchesa Maria d'Avalos d'Aragona, una nobildonna assai nota in città per le rappresentazioni teatrali che organizzava nel suo bel palazzo. Ma quella notte i saraceni fecero un buco nell'acqua perché la marchesa non era in casa. Per ritorsione sequestrarono una ventina di persone, tra le quali l'intera servitù del palazzo. La storia si concluse a Nisida, dove i pirati fuggirono portandosi dietro i prigionieri. Questi ultimi furono liberati solo dopo una lunga trattativa, condotta dal duca d'Alcalà in persona - che allora abitava nel palazzo Colonna di Stigliano - e il pagamento di un riscatto. Da quel giorno la fortificazione del territorio divenne per i viceré un'autentica ossessione: da qui la decisione di edificare a sulla spiaggia di Chiaja una torretta di avvistamento. Ancora oggi la zona dove sorgeva la torre di guardia è conosciuta come La Torretta.

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Un luogo simbolo della Napoli spagnola fu certamente la chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, scrigno di capolavori tornati a vivere grazie a un imponente restauro promosso dall'arciconfraternita che gestisce la basilica e dall'associazione Friends of Naples, già artefice di altri importanti recuperi come quello di Porta San Gennaro.

Don Pedro de Toledo ne affidò la realizzazione a Giovanni Merliano da Nola, un archistar del suo tempo. Peccato che il povero don Pedro non possa rallegrarsene: le sue spoglie riposano infatti lontano da Napoli, ed esattamente nel Duomo di Firenze, dove l'artefice della trasformazione urbanistica della città morì, nel 1553, prima che il suo mausoleo venisse portato a termine.

Uscendo dalla chiesa di San Giacomo, ecco a sinistra via Cervantes, così chiamata in ricordo del più grande scrittore spagnolo di tutti i tempi, quel Miguel de Cervantes che aveva frequentato Napoli da militare e, come ricorda José Vicente Quirante Rives nel libro «Napoli spagnola», avrebbe voluto ritornarvi in vecchiaia, per entrare a far parte della brillante corte letteraria del conte di Lemos. Tra i toponimi che rimandano alla Spagna c'è via Ponte di Tappia: ricorda il luogo dove il magistrato spagnolo Egidio de Tapia, presidente della Camera della Summaria, si fece costruire un palazzo nel 1566. A quei tempi un passaggio, poi scomparso, univa due edifici di proprietà di don Egidio: da qui il toponimo della strada.

Luoghi della memoria, dove danzano le ombre del nostro passato. Una traccia della toponomastica rimanda ancora oggi a un personaggio leggendario vissuto a Napoli tra il 500 e il 600: il mercante di grano don Miguel Vaaz, più conosciuto come il Conte di Mola, famoso per essere finito in disgrazia con l'accusa di aver frodato i sudditi del Regno e per aver trascorso ben due anni della sua vita, da superlatitante, nel buio della chiesa dell'Ascensione a Chiaia.

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Anche a Pizzofalcone troviamo i fantasmi della Napoli spagnola. Li troviamo nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, che i padri Teatini fecero costruire nel 600, in piena dominazione spagnola, e che vanta una delle cupole più alte della città. Qui numerose lapidi ricordano caballeri ed eroi
invencibles come Dionisio de Guzmàn, Diego de Sandoval, Manuel Carrillo y Toledo. Più avanti, nella parte alta di via Monte di Dio, la caserma di polizia Nino Bixio venne costruita nel luogo dove Pedro Antonio de Aragòn, nel 1668, aveva deciso di alloggiare le truppe spagnole stanche di vivere nei Quartieri voluti da don Pedro: troppe tensioni, troppi battibecchi con i napoletani che evidentemente soffrivano la presenza dei militari e cercavano in tutti i modi di rendere loro la vita impossibile. In via Solitaria, invece, l'istituto d'arte Palizzi sorge nel luogo dove un frate cappuccino spagnolo fondò il convento di Santa Maria della Solitaria, per accogliere ed assistere le orfane dei militari spagnoli: solitarie, appunto, e bisognose di assistenza.

Era di origini castigliane (il padre fu uomo d'arme al servizio di Carlo V) Ana Mendoza, marchesa della Valle, che fondò nel 1588 la chiesa della Nunziatella, dedicata alla Vergine Annunziata e poi donata ai gesuiti: chiesa che diede il nome, molti anni dopo, all'Istituto militare contiguo, uno dei più antichi al mondo ancora in attività, creato da Ferdinando IV nel 1787. Altro luogo, altre memorie. Nel 1639 un gruppo di monache agostiniane provenienti da Santa Maria Egiziaca a Forcella decise di fondare un ritiro (dedicato ad Egiziaca, santa protettrice della prostitute redente) in cui la clausura fosse osservata nella maniera più austera possibile. Nacque così la chiesa di Santa Egiziaca a Pizzofalcone, nel bel mezzo di un quartiere che pur essendo infestato da ladri, prostitute e soldataglia, al pari di Posillipo «dava tregua al dolore» di chi aveva scelto di viverci.

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Ombre. Memorie che resistono alle trasformazioni della città. E fantasmi, come quelli dei Re aragonesi, i cui volti si celerebbero dietro il celebre Compianto sul Cristo morto, il capolavoro in terracotta dello scultore modenese Guido Mazzoni, realizzato nel 1492, dunque in pieno periodo aragonese, per la chiesa di Sant'Anna dei Lombardi, simbolo del Rinascimento toscano a Napoli. Le otto statue a grandezza naturale che compongono la scena - palpitante e viva sotto gli occhi di chi la osserva - secondo molti studiosi rappresenterebbero proprio i sovrani di Casa d'Aragona. Così, in un incredibile gioco di specchi, alcuni hanno individuato, nelle vesti di Giuseppe d'Arimatea e di Nicodemo, i ritratti di Ferdinando I e di suo figlio Alfonso II d'Aragona; altri quelli di Alfonso II e di suo figlio Ferrandino; altri ancora i volti di Jacopo Sannazaro (Nicodemo) e di Giovanni Pontano (Giuseppe d'Arimatea).
Via Medina, invece, prende il nome dal viceré spagnolo Núñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres, che alla metà del Seicento decise di risistemare l'antico Largo delle Corregge, luogo storicamente adibito allo svolgimento di tornei (le corregge erano le bardature che si applicavano ai cavalli) all'esterno delle mura medievali. Prima di chiamarsi Medina, la strada si chiamava Rivera, in onore di quel Pedro Afán de Ribera, duca di Alcalà e viceré di Napoli, che l'aveva ampliata realizzando un grande asse di collegamento della zona portuale con via Toledo.


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