Addio Natella, dai presepi ai Barbuti animò la rinascita culturale del Centro storico

Peppe Natella (al centro) con il sindaco Enzo Napoli durante la fiera del Crocifisso ritrovato
Peppe Natella (al centro) con il sindaco Enzo Napoli durante la fiera del Crocifisso ritrovato
di Erminia Pellecchia
- Ultimo agg. 24 Dicembre, 09:45
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Un leone. Fino alla fine. La testa piena di progetti da portare a termine e da inventare. Carta e matita a portata di mano per disegnare l’ultimo allestimento, la mostra auspicio per il nuovo anno, «Lettera per...», prevista il 28 dicembre a Sant’Apollonia, la chiesa abbandonata che aveva contribuito a restituire alla collettività. No. Peppe Natella non si è arreso alla malattia che, subdola, l’ha colpito all’improvviso, ferendo il corpo ma non la tempra. Ha lottato fino a ieri sera. A muso duro. Con la stessa grinta con cui ha affrontato mille battaglie per il suo amato centro storico. 

Alla fine l’ha strappato agli affetti della famiglia - la moglie Adriana, le figlie Chiara e Rossella - e degli amici. Tantissimi, da chi oggi ricopre cariche politiche alla gente comune della città vecchia all’ombra della cattedrale. Una comunità a cui «il professore» aveva contribuito a restituire dignità con l’impegno e la passione degli anni giovanili, rimasti intatti, se non addirittura più potenti, oggi con la maturità e l’esperienza dei 67 anni da poco compiuti. 
Se n’è andato Peppe, sicuramente in una casa più bella. Accolto da don Giovanni Toriello, il parroco del duomo, di cui, negli anni Ottanta, è stato il braccio destro nell’azione di recupero dell’antico perimetro medievale, degradato dall’incuria più che dal terremoto. Accolto dai «ragazzi» del pretino rosso che lo hanno preceduto nel cielo dei giusti: Ulrico D’Alma, Alfonso Miccio. E dal sorriso sornione di Gelsomino D’Ambrosio, il poeta dei segni, compagno di tante avventure d’arte e di vita. Se n’è andato Peppe alla vigilia di Natale, lui che, fondatore della Bottega San Lazzaro, aveva riempito della poesia del presepe. Quello semplice, umile, le sagome dipinte da Mario Carotenuto a raffigurare gli abitanti del centro storico stupiti di fronte al mistero della Nascita. Era il dicembre del 1982, quell’allestimento devoto richiama migliaia di turisti nell’atmosfera spirituale della Sala San Lazzaro.

Era off-limits la Salerno longobarda. Peppe ne apre le porte insieme al fidato «scudiero» Salvatore Acconciagioco. 1983, la seconda sfida: un teatro sotto le stelle con artisti di richiamo. A inaugurare il Teatro dei Barbuti sarà Peppe Barra, a cui Natella quest’estate - per i trent’anni del festival - ha consegnato il premio omonimo. Erano relegati all’oblio le chiese ed i conventi. Peppe si rimbocca di nuovo le maniche, adotta prima Santa Maria dei Barbuti, poi l’Addolorata e Santa Sofia. È il tempo delle grandi mostre firmate con Massimo Bignardi: Picasso, Mirò. L’ultimo alloro: il Museo dello Sbarco, creato dal nulla con Eduardo Scotti e Nicola Oddati e ora una realtà in Italia. Ciao Peppe. Ti abbracceremo oggi, alla 16, nella tua cattedrale. Per ritrovarti ogni giorno, all’angolo del Caffé delle Arti, sul tuo motorino rosso pronto a scappare per rincorrere altri sogni. Ti ritroveremo in ogni pietra, in ogni evento pronti a dirti «Grazie».
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