Due condanne e un'assoluzione per il crac della Bio Prodotti di Eboli

L’ultima azienda conserviera della zona fallì a marzo del 2014, secondo l’accusa sarebbero stati distratti beni per 370mila euro

Il tribunale di Salerno
Il tribunale di Salerno
di Viviana De Vita
Giovedì 11 Aprile 2024, 07:00
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Due condanne e un’assoluzione per il crac della Bio Prodotti, una delle ultime società impegnate nell’attività di trasformazione del pomodoro ad Eboli dichiarata fallita dal tribunale di Salerno con sentenza del marzo 2014. A deciderlo, ieri, è stato il collegio della prima sezione (Diograzia presidente, Bosone e Centola a latere) che, all’esito del processo di primo grado, ha parzialmente accolto la tesi del pubblico ministero che, al termine della sua requisitoria, aveva chiesto la condanna per tutti gli imputati anche sulla base della consulenza tecnica effettuata dal dottor Pasqualucci nominato dalla Procura proprio allo scopo di ricostruire i conti della società nell’ambito di un’indagine molto complessa.

La sentenza è arrivata nel primo pomeriggio di ieri quando, all’esito di una lunga camera di consiglio, i giudici hanno assolto l’amministratore di fatto della società S.V. assistito dall’avvocato Costantino Cardiello indicato dalla Procura quale deus ex machina della vicenda, condannando invece a due anni di reclusione i legali rappresentanti della società E.B. e A.B. assistiti dagli avvocati Nunzio Giudice e Paola Ianni. La curatela si era costituita parte civile attraverso l’avvocato Lucio Basco. Le accuse contestate dal sostituto procuratore Francesco Rotondo, titolare del fascicolo, che formulava a carico di tutti gli imputati l’accusa di bancarotta fraudolenta, ipotizzavano una sottrazione dei valori di merce per circa 370mila euro oltre ai beni strumentali.

In particolare, sotto il faro degli inquirenti, era finito il bilancio della società redatto al 31 dicembre 2012 in cui erano indicati “rimanenze finali di prodotti finiti” per circa 370mila euro. Le indagini hanno però acclarato che nel corso del 2013 la società dichiarata fallita non emetteva alcuna fattura di vendita nonostante all’atto dell’inventario, effettuato dalla curatela il 13 maggio 2014, venivano rinvenuti soltanto 120 cartoni di pelati da un chilo valutabili in appena 576 euro. La differenza tra il valore delle merci e quelle rinvenute in sede di inventario, pari a circa 370mila euro, rappresentava quindi per la Procura il valore dei beni distratti. Ancora, era contestato il falso in bilancio, poiché secondo il castello accusatorio formulato dal dottore Rotondo, gli imputati avrebbero cancellato circa 800mila euro di debiti per continuare l’attività aziendale.

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Quest’ultima accusa è però caduta poiché all’esito del processo di primo grado conclusosi ieri, gli imputati sono stati condannati esclusivamente per la sottrazione di beni e valori incassando l’assoluzione dall’accusa di falso in bilancio.

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