Disastro ambientale sulle spiagge,
avanza l'inchiesta sui dischetti

Disastro ambientale sulle spiagge, avanza l'inchiesta sui dischetti
di Petronilla Carillo
Venerdì 17 Agosto 2018, 11:00
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Disastro ambientale. Ancora non c'è un numero esatto di indagati per la storia del dischetti di plastica fuorusciti dal depuratore di Varolato del Comune di Capaccio Paestum. I periti della procura di Salerno hanno chiesto nelle scorse settimana una proroga di indagine per effettuare ulteriori verifiche tecniche. Intanto la Veolia Water Technologies ha completato i lavori di adeguamento e rimesso in funzione l'impianto consentendo a residenti e turisti una estate tranquilla. Anche se le condizioni del mare, lungo tutto il litorale non sono delle migliori in questi giorni.

A marzo scorso, quando scoppiò il caso dopo che questi dischetti naufragarono anche sui litorali di Lazio e Toscana, la procura iscrisse solo una persona nel registro degli indagati ma, le procedure amministrative e la gestione tecnica dell'impianto, sarebbero di competenza di più professionalità di qui il possibile ampliamento della rosa degli indagati. Perito di fiducia degli inquirenti, il professore di meccanica razionale presso la Facoltà di ingegneria dell'Università Federico II di Napoli Paolo Masserotti, già custode giudiziario degli impianti che furono messi l'anno scorso sotto sequestro in Costiera. A settembre il tecnico dovrà depositare il proprio elaborato anche perché bisogna capire il livello di inquinamento che questi dischetti hanno prodotto sull'ecosistema marino.
 
Era il mese di aprile quando quando alla capitaneria di porto di Salerno arrivarono le prime segnalazioni sulla presenza di «piccoli dischetti bianchi forati» sulle spiagge di Capaccio Paestum. All'inizio nessuno ci aveva fatto troppo caso, anche perché l'attenzione era tutta puntata su un guasto al tubo collettore che dal depuratore scarica in mare le acque provenienti dall'impianto. Poi il numero dei dischetti è aumentato, come anche le segnalazioni, provenienti non solo dalle coste salernitane, ma anche dalle isole del Golfo di Napoli, dalla costa laziale e da quella toscana. Furono dunque effettuati a marzo i primi rilievi che consentirono agli uomini della guardia costiera di appurare che si trattava di «filtri a biomassa adesa» provenienti dal depuratore di Varolato, utilizzati per la depurazione delle acque reflue che a causa del cedimento strutturale di una vasca avevamp raggiunto il Sele, riversandosi poi nel Mar Tirreno.

Sul caso si misero a lavoro gli uomini del Nucleo Speciale d'Intervento della guardia costiera, coordinato dal Reparto Ambientale Marino, su diretto «ordine» dell'allora ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti. Fu così che gli investigatori ripercorsero tutto i tragitto dei dischetti: i filtri sarebbero finiti in mare attraverso il corso del fiume Sele dopo il cedimento strutturale di una vasca dell'impianto di depurazione gestito da una partecipata del Comune. Cedimenti di cui, secondo le risultanze tecniche, il gestore dell'impianto e il direttore tecnico non potevano non essere a conoscenza perché il sistema avrebbe iniziato a creare dei problemi.

Si tratta di supporti in polietilene, progettati per fornire un'ampia superficie protetta per lo sviluppo del biofilm e condizioni ottimali per la coltura batterica in acqua. Gli uomini della Capitaneria contarono tutti i filtri che riuscirono a recuperare per capire la portata del danno e quanti sono finiti in acqua. Considerando la capienza delle due vasche - 350 metricubi ciascuno - e considerando che per ciascun metrocubo ci sono almeno 300mila di questi filtri, il numero di dischetti risultò elevatissimo. Questi dati furono poi consegnati al perito che sta ora efefttuando valutazioni anche sulla loro tossicità e sul danno prodotto per l'ecosistema. Sempre il perito dovrà, entro settembre a questo punto, anche riferire se i dischetti recuperati sui diversi litorali italiani appartengano tutti al depuratore di Capaccio oppure se si sono verificate fuoriuscite di filtri anche da altri impianti.

Sono stati i volontari del progetto Clean Sea Life, cofinanziato dalla Life e dall'Unione europea, a lanciare l'allarme attraverso la rete di propri affiliati preoccupati proprio per la tipologia di inquinamento che si poteva produrre: i dischetti, difatti, altro non sono che supporti dove crescono i batteri che purificano l'acqua assorbendo i nutrienti.
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