Mario Fresa è uno dei cinque poeti presenti nei libri bianchi di Einaudi

Il suo nome è inserito nell'antologia poetica «Nuovi poeti italiani 7», curata da Maurizio Cucchi

Mario Fresa
Mario Fresa
di Alfonso Amendola
Martedì 12 Marzo 2024, 08:30
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Da tempo la poesia di Mario Fresa ha conquistato una centralità nel grande capitolo della letteratura italiana contemporanea. Fresa, abitato da una grande capacità di muoversi con un piglio stilistico e formale davvero personale (certo riconducibile alla miglior scuola italiana novecentesca e a nodali riferimenti della poesia francese di cui è raffinato traduttore) è ora uno dei 5 autori presenti nella collana dei libri bianchi dell'Einaudi dedicata alla poesia.

Parliamo di una pubblicazione importate, e consentitecelo, davvero ambita: l'antologia poetica «Nuovi poeti italiani 7», curata da Maurizio Cucchi (poeta e critico che fin dagli esordi è stato nobile mentore del poeta salernitano). Questa prestigiosa antologia è una sintesi analitica dedicata allo spaccato delle nuove generazioni e di volta in volta un critico indica in totale autonomia intellettuale la sua scelta di campo. Maurizio Cucchi per questa edizione 2024 dei libri bianchi della poesia è stato particolarmente severo ed esigente.

Cucchi, infatti, ha indicato in soli 5 autori, tutti nati fra il 1968 e il 1973, i nomi da antologizzare e affidando loro uno spazio di ampio respiro nella pubblicazione. Silvia Caratti («La catastrofe del ferro»), Massimo Dagnino («Guardare il mare non era necessario»), Annalisa Manstretta («Un'aria vegetale»), Wolfango Testoni («Un'allegria più mite») e, appunto, Mario Fresa («Il mantello di Goya»).

Nella prefazione all'antologica Cucchi sottolinea con vigore teorico e metodologico la piena autonomia di ogni silloge raccolta. Indicandone in maniera significativa la compattezza organica e l'autonomia espressiva di ognuno di loro. Senza alcuna volontà di voler trovare in queste 5 «personalità poetiche» trame di scuola o tessuti di appartenenza. Ma rintracciando, questo sì, l'esser accomunati - scrive Cucchi nella sua nota introduttiva - da "una fitta attenzione al reale concreto, vissuto anche quotidianamente ma nella certezza del suo costante aprirsi a una catena di virtualità pressoché inesauribile". Ed è imponente e indicativa questa traccia di lettura del reale come linfa, nutrimento, accensione del possibile, istigazione, pluriverso immaginifico.

La solidità dei cinque autori è davvero leggibile nella loro cromaticità e nella loro specifica volontà di agire della scrittura creativa. «Cinque voci poetiche - ha scritto Roberto Galaverni - non estemporanee o accidentali, cioè frutto delle semplici circostanze». Cinque voci della poesia contemporanea che questo settimo volume ci dona nella loro interezza e sensibilità.

Cinque spaccati tra l'amore e la morte (Silvia Caratti), l'eleganza enigmatica (Massimo Dagnino), la viva articolazione del paradosso (Mario Fresa), la "quotidianità mobile" (Annalisa Manstretta) e l'impianto del visivo (Wolfango Testoni). Insomma, cinque voci di eclettica maturità nel vastissimo (e troppe volte dispersivo) oceano della poesia. Per Mario Fresa la poesia continua ad essere atto necessario per devozione espressiva, per rigore della militanza nelle lettere e per profonda verifica esistenziale.

Fresa s'immerge nella totalità della scrittura (quella poetica ma di recente anche quella narrativa, quella del lavoro di traduttore e quella di critico-saggista, in particolare mi fa piacere ricordare il suo «Dizionario critico della poesia italiana 1945-2020» per la Società Editrice Fiorentina) e ne esce con la sua potente identità di poeta. Un poeta che ben sa ridefinire il reale e tutta la fitta maglia di luci e ombre perché - come ha dichiarato lo stesso Fresa in un'intervista recente - «la scrittura d'arte è un antimondo che fa scoprire, per violazioni e urti, l'essenza più profonda del mondo stesso (o i rimossi fantasmi di esso, o i segnali taciuti dei nostri più indicibili pensieri, o gli stessi turbamenti inaccettati, e faticosamente filtrati o sotterrati, dalla diurna "buona" coscienza della nostra accomodante lingua quotidiana)».

E tutto questo lo ritroviamo nella silloge einaudiana selezionata da Maurizio Cucchi. Sono quattro ampi movimenti a comporre "Il mantello di Goya" firmato da Fresa che non dimentica uno stile particolare di "abile prosa poetica" (rimandando alla nota del curatore). È un comporre a "quadri" questo di Fresa (dove l'omaggio a Goya torna per chiarore e brutalità) e per sonorità (verrebbe da dire rievocando un'ulteriore passione di Fresa: la musica con un trionfante Debussy) e poi si dispiega spingendo su diversi piani la sua tensione poetica con un'evidente la predilezione «per un verso decisamente elastico» (è ancora di Cucchi questa puntuale definizione): la frammentazione del reale, il piano del conversazionale, il senso della responsabilità del poeta, la testimonianza di un'umanità imperfetta, il quotidiano sempre sublimato, le psicologie disegnate nel tratto dell'essenziale. Il tutto dentro una compiuta capacita di scrittura compatta, coltissima e vissuta da una «un'invisibile/ memoria di fatica».

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