Sanità, Coscioni: «Basta chiamare il 118, tocca ad Asl e distretti»

«Lo sforzo finale è ridurre la mobilità passiva dando alle tante professionalità esistenti di esprimersi al meglio»

Il presidente di Agenas Enrico Coscioni
Il presidente di Agenas Enrico Coscioni
di Ettore Mautone
Martedì 10 Gennaio 2023, 16:24 - Ultimo agg. 11 Gennaio, 15:40
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Continua il dibattito scaturito dall'allarme lanciato nei giorni scorsi, sulle colonne del Mattino, sulla tenuta della Sanità in Italia. È consapevole delle difficoltà del momento ma più ottimista Enrico Coscioni. Il cardiochirurgo salernitano, presidente di Agenas, nonché consigliere per i temi della Sanità del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, propone una serie di soluzioni da attuare nell'arco dei prossimi 4 o 5 anni in attesa che il raddoppio delle borse per le scuole di specializzazione, finanziate nel 2021, ridiano fiato ai reclutamenti e ai concorsi.

Dottor Coscioni, il servizio sanitario nazionale è alle corde?
«Ne stiamo discutendo da anni, a tutti i livelli, in Campania abbiano approfondito a lungo le gravi difficoltà che abbiamo davanti. Il momento è complesso ma bisogna essere propositivi: è giusto partire da un'approfondita analisi delle cause poi bisogna trovare soluzioni».
 

Partiamo dalle cause.
«L'impasse è senza dubbio frutto della errata programmazione attuata negli ultimi 15 anni a livello centrale. Il finanziamento dei livelli formativi post laurea è stato insufficiente a coprire anche il solo turn-over per non parlare dell'emergenza generatasi con la pandemia.

Si è pensato a tagliare per gli equilibri di bilancio. Nel 2021, anche grazie all'impegno dell'ex ministro Speranza, il governo ha messo a disposizione 17.400 borse di specializzazione in medicina per altrettanti giovani laureati. Il doppio di quelle che esistevano fino a due anni prima e quasi il triplo di quelle stanziate negli anni precedenti. Risolvono l'imbuto formativo che le Regioni e i sindacati hanno denunciato per anni. Per apprezzare i risvolti di questa iniezione di personale serviranno tuttavia almeno 5 o 6 anni».

Che si fa nel frattempo oltre a chiudere reparti salvavita come i pronto soccorso?
«Qui veniamo alle soluzioni: serve un Piano Marshall che duri dai tre ai cinque anni».

Le misure di questo Piano?
«Consentite il reclutamento al primo anno degli specializzandi anche nei pronto soccorso e nelle specialità più carenti».

Non si paga pegno in termini di sicurezza?
«No, un medico laureato al primo anno di specializzazione deve sempre essere affiancato da un tutor e nelle corsie normalmente affronta casi clinici ben più complessi dei codici a bassa urgenza che giungono nei pronto soccorso. A loro verrebbero affidati questi pazienti».

E per i codici gialli e rossi a massima urgenza?
«Bisognerebbe sospendere per alcuni anni la prerogativa di affidare al medico unico di pronto soccorso la responsabilità dei reparti. Le reti tempo dipendenti sono percorsi già consolidati che dal 118 approdano direttamente nei reparti dedicati. Tutti gli altri casi di natura internistica, oncologica, gastroenterologica, ematologica, nefrologica, cardiologica e così via vedrebbero impegnati gli specialisti della disciplina con la sola presenza costante dell'anestesista».

Sarebbe la fine della specialità in Medicina di urgenza?
«I giovani medici non scelgono questa specialità che non è attrattiva, dà tanti oneri e responsabilità a pochissime gratificazioni. Quest'anno il 60% delle borse non è stato assegnato. Quindi bisogna prendere il toro per le corna e aggirare l'ostacolo. In pronto soccorso si cambia il modello operativo per alcuni anni e intanto si lavora al riordino dei contratti. Bisognerebbe agire almeno per un triennio con questo nuovo modello di cui si gioverebbero anche i giovani in formazione nelle varie aree».

Altre proposte?
«Si potrebbe attuare quello che in Campania è stato in parte inserito nella legge di Bilancio: in accordo con i sindacati della dirigenza medica portare a 80 euro defiscalizzati (flat tax per i medici e gli infermieri) il lavoro professionale aggiuntivo prestato per le esigenze dell'azienda. Servirebbe per abbattere anche le liste di attesa, per lavorare il pomeriggio. In Campania non tutti sanno che si lavora in molti ospedali anche di sabato per questi fini attingendo a un fondo nazionale ad hoc di 500 milioni che andrebbe rifinanziato e reso strutturale».

E sul territorio?
«Serve una riforma della medicina territoriale, unica possibilità per colmare il gap. Nelle Case e ospedali di Comunità al Sud servono più risorse di personale. Come Agenas abbiamo messo a punto un progetto molto avanzato per dare ai medici e alla continuità assistenziale una adeguata formazione sulle tecnologie di I livello da utilizzare insieme a infermieri e tecnici avvalendosi anche del supporto della telemedicina strutturando così, a partire dai distretti, poliambulatori funzionali a una prima diagnosi. Distretti potenziati in una rete hub e spoke con l'Ospedale di comunità in cui il fascicolo sanitario elettronico mostrerebbe tutte le sue potenzialità».

Si salverà il Servizio sanitario nazionale?
«Certo che sì, quello italiano ha ancora tante potenzialità. Lo sforzo finale è ridurre la mobilità passiva dando alle tante professionalità esistenti di esprimersi al meglio coltivando le eccellenze in sinergia tra pubblico e privato accreditato. Un modello flessibile al passo dei nuovi tempi».
 

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