Turandot al teatro Verdi di Salerno, Daniel Oren: «La mia eroina in cerca del vero amore»

Daniel Oren torna sul podio dell'Orchestra del Massimo salernitano il 26 dicembre alle 18

Daniel Oren
Daniel Oren
di Erminia Pellecchia
Sabato 24 Dicembre 2022, 12:00
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Turandot, una donna che cerca l'amore ma sa che non riuscirà mai averlo. Liù, una donna che vive d'amore e per amore è disposta a morire. Torna sulle tavole del Verdi la Turandot di Giacomo Puccini, una delle opere che più appassionano il pubblico, fin dalla prima alla Scala di Milano, il 25 aprile 1926, con Toscanini che termina l'esecuzione, dopo l'aria di Liù «Tu che di gel sei cinta», dicendo: «Qui finisce l'opera perché a questo punto il maestro è morto». Ma ha davvero il cuore di ghiaccio la principessa protagonista di questo «dramma crudele» come lo definisce Daniel Oren, sul podio dell'Orchestra del Massimo Cittadino il 26 dicembre alle 18 (replica il 28 alle 21) con «un titolo complesso, difficile, in cui coesistono più generi, il fantastico, il mélo, il tragico e il burlesco, e dove ogni tre secondi si può cadere in una trappola». È davvero una «vampira» sanguinaria che, mossa dall'odio verso il sesso maschile, fa mozzare il capo ai suoi pretendenti sottoposti allo scioglimento di difficili indovinelli? Assolutamente no, a sentire Oksana Dyka, il soprano ucraina che le presta il volto. «È una donna capricciosa, ma non cattiva, vuole sembrarlo - ha dichiarato in una intervista - Quando canta In questa reggia, in cui spiega i motivi ancestrali del suo comportamento, lo fa come un rituale meccanico. Però quando vede Calaf osa rompere lo schema, è incuriosita dal fatto che non ha paura, anzi lei stessa si spaventa del suo coraggio». «Nel suo cuore avverte Oren è una donna in carne e ossa che soffoca la passione sotto la cenere del suo grande orgoglio. Puccini è stato un genio nel raffigurarla fredda, cattiva. Tutti la odiano, il pubblico parteggia per la schiava Liù».

L'ultima grande eroina tragica pucciniana, la vera protagonista, secondo Riccardo Canessa, del capolavoro del compositore toscano, ispirato a una fiaba di Carlo Gozzi, e che della fiaba mantiene i toni anche nell'allestimento salernitano, snello ed efficace pur restituendo vive le atmosfere sognanti, di una «Pekino, al tempo delle favole», come vuole il libretto firmato da Giuseppe Adami e Renato Simoni, e come l'ha immaginata Puccini che, in Cina, non c'è mai stato. «Ho seguito le sue linee guida spiega il regista napoletano, alla sua seconda Turandot prodotta dal Verdi le sue opere hanno sempre una propria sceneggiatura che segna la musica e dalla musica si fa guidare. Ho voluto, d'intesa con lo scenografo Alfredo Troisi, autore anche dei costumi, scene classiche ed essenziali, adatte a contenere la massiccia presenza di persone su un palcoscenico non di grandi dimensioni». Sogna Piazza della Libertà Daniel Oren, «bellissima», dove ricostruire gli fa eco il suo vice Antonio Marzullo, la Città proibita. «Il progetto c'è - insiste il direttore artistico lo realizzeremo quando ci saranno le condizioni» e, nell'annunciare che si sta pensando a un cartellone estivo del Verdi, lascia intravvedere il ritorno al Parco del Teatro Ghirelli. È felice il maestro israeliano dopo il trionfo a Londra di Tosca. «La musica è gioia, armonia, fare musica è la mia missione», sottolinea.

Fa gli auguri di Natale e confessa che lui, l'Hanukkah, la festa ebraica delle luci, la trascorrerà nella città delle luci dove, come da tradizione, dirigerà il primo gennaio il doppio concerto di Capodanno (ore 18.30 e 21.30). A Salerno resterà fino all'Epifania, il tempo di affinare le proposte per la stagione 2023, già finanziata dalla Regione. «Daremo spazio ai giovani, alle master class, a produzioni miste, magari con il Conservatorio Martucci. Sicuramente renderemo omaggio a Franco Zeffirelli nel centenario della nascita», assicura Marzullo. Intanto godiamoci questo scoppiettante finale dei 150 anni del Verdi. A partire dalla Turandot col suo cast stellare. Oltre la Dyka, soprano dalla voce importante, c'è il tenore spagnolo Jorge de Leòn (Calaf), molto musicale, il suo Nessun dorma fa vibrare le pareti, l'armena Lianna Haroutounian (Liù) soprano lirico-spinto, le tre «maschere» Costantino Finucci (Ping), Enzo Peroni (Pang), Francesco Pittari (Pong), usciti dalla scuola del Coro del Verdi e oggi caratteristi contesi dai maggiori lirici, il tenore Salvatore Minopoli (Altoum), il basso baritono Carlo Striuli (Timur), il basso baritono Angelo Nardinocchi (un Mandarino), il tenore Nazareno Darizillo (il Principe di Persia). Completano la squadra Armando Tasso (maestro del Coro), Silvana Noschese (maestro del Coro di Voci Bianche), Corona Paone (coreografo) e Andrea Albertin (assistente al direttore d'orchestra). 

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