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Spazio, Stéphane Israël ceo di Arianespace: «Così l’Europa manderà in orbita i suoi astronauti senza dipendere da Usa e Russia. Boom di commesse per i satelliti»

Stéphane Israël ceo di Arianespace
Stéphane Israël ceo di Arianespace
Paolo Ricci Bittidi Paolo Ricci Bitti
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 16 Maggio 2022, 08:32 - Ultimo agg. : 10:50
6 Minuti di Lettura

Stéphane Israël, 51 anni, sposato, 3 figli, è tra i civil servant più noti in Francia. Dal 2013 è ceo di Arianespace, il colosso franco-tedesco leader mondiale del trasporto spaziale a cui partecipa anche Avio di Colleferro (Roma). Volontario di Sos Racisme, amante della letteratura e della storia della Resistenza, ha nel curriculum lauree e master all’Ens e all’Ena. È stato magistrato alla Corte dei Conti, docente ad Harward e capo del gabinetto del ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg. Nel settore dell’aerospazio dal 2007, ha seguito i progetti della costellazione Copernicus di satelliti Sentinel e dei missili Icbm M51 anche a testata nucleare per sottomarini. 

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«Portare nello spazio gli astronauti europei con i missili lanciatori europei, ovvero missili di Arianespace? Si può fare, tecnicamente siamo già in grado di farlo, ma prima serve una decisione politica degli stati che fanno parte dell'Agenzia spaziale europea».
Alla rivoluzionaria domanda degli astronauti europei, a cominciare da Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti, risponde Stéphane Israël. Nell'autunno scorso gli astronauti europei hanno scritto un Manifesto presentato proprio da Parmitano: «È arrivato il momento che l'Europa si renda indipendente (da Stati Uniti e Russia, ndr) per proseguire l'esplorazione dello spazio affidando i suoi astronauti a lanciatori europei». Circostanza ribadita anche di recente da Samantha Cristoforetti, che il 27 aprile è tornata sulla stazione spaziale internazionale con la Crew Dragon di Elon Musk affittata dalla Nasa dopo che per la prima missione aveva imparato a pilotare la navicella russa Soyuz.


Che cosa manca per raggiungere questo obiettivo?
«È una scelta politica che spetta agli stati europei - ripete Israel durante un incontro con la stampa italiana a Roma - Gli Stati Uniti e la Nasa hanno finanziato con 7 miliardi di dollari SpaceX di Elon Musk per accelerare la costruzione delle navette per gli astronauti. Tecnicamente in Europa con i razzi Ariane 6 avremo già lanciatori adatti per queste missioni, poi va sviluppata la navicella, ma non vedo ostacoli tecnici se arriverà il via libera della politica a una richiesta più che comprensibile».


Con un schiocco di dita davanti ai cronisti a Roma ha riassunto la svolta innescata nella storia dei satelliti, che rappresentano il 70% della space economy, dal contratto da almeno 7 miliardi di dollari voluto da Jeff Bezos per portare in orbita i primi dei 3.236 satelliti della costellazione Kuiper di Amazon.
«Beh, veda lei. Arianespace (leader mondiale con oltre il 50% dei lanci per i satelliti geostazionari, ndr) dal 1980 ad oggi ha portato in orbita più di 800 satelliti per oltre 100 clienti che comprendono anche numerosi Stati, grandi potenze. Parliamo di una quindicina di lanci l'anno. Per quasi ognuno di essi vanno assemblati più clienti per completare il carico utile: un lavoro commerciale molto complesso. Invece adesso arriva un unico committente privato che compra in una volta sola sul mercato 83 lanci già tutti con carico al completo. Ripeto, ottantatré. Ad Arianespace di quegli 83 ne sono assegnati ben 18 che effettueremo in tre anni dallo spazioporto di Kourou (Guyana francese) con Ariane 6 che ha un carico utile da 11 a 20 tonnellate. Ed è solo l'inizio perché la costellazione Kuiper, che porterà (anche) Internet in ogni parte del mondo, prevede appunto migliaia di satelliti».


Per colpa dell'aggressione russa all'Ucraina dovrete però rinunciare ai lanciatori Soyuz che storicamente facevano parte della vostra famiglia?
«Sì, avevamo in programma 11 di quei lanci, stiamo lavorando per portarli su Ariane 6. L'uso dei Soyuz sarebbe comunque terminato nel 2023».


Ariane 6 non ha ancora effettuato il primo decollo.
«Contiamo di farlo entro l'anno. E prima ancora avremo quello di Vega C (Consolidation), la versione maggiorata di Vega progettata e costruita da Avio a Colleferro. Il primo stadio di Vega C, il P120, è anche booster (razzo ausiliario, ndr) di Ariane 6: due per la versione 62 e 4 per quella 64. Serviranno 72 P120 solo per Kuiper. Intanto il 22 giugno è confermato il primo lancio dell'anno: un Ariane 5 porterà in orbita satelliti geostazionari per le comunicazioni di Malesia e India».


Dei satelliti non si può più fare a meno?
«No, e da molti anni. Ogni attività terrestre è di fatto vincolata all'uso dei satelliti che sono essenziali, ad esempio, anche per affrontare il cambiamento climatico. Ad Arianespace pensiamo di poter contare su commesse da 3,35 miliardi di dollari l'anno fino al 2030 (erano circa 2 miliardi nel decennio precedente, ndr). Ci attendono periodi di forti incrementi lavorativi anche perché continueremo a garantire i lanci istituzionali per l'Agenzia spaziale europea: al momento si tratta di quattro lanci l'anno con Ariane 6 e due con Vega C. Al mercato offriamo l'innovativa possibilità di raggiungere con lo stesso lancio orbite a differenti altezze grazie a motori riaccendibili fino a 5 volte con Ariane 6 e 7 volte con Vega C. I satelliti sono raggruppati in una sorta di dispenser, un altro asset dei razzi di Arianespace - che offre anche posti a basso costo per i piccoli satelliti di società start up e delle università».


E però sembra ancora lontano un razzo riusabile di Arianespace come quelli invero affascinanti di SpaceX. Ma poi ci sono calcoli contabili che indichino un effettivo risparmio dei razzi riutilizzabili?
«Ecco, chiariamolo una volta per tutte. Allora, Arianespace ha già avviato il progetto per i razzi riutilizzabili Themis con ecomotori riaccendibili Prometheus e quindi ci faremo trovare pronti sul mercato. Sul risparmio effettivo la risposta è legata al tipo di missione: se si devono effettuare molti lanci identici, magari per portare nella stessa orbita bassa (dai 300 agli 800 chilometri di quota, ndr) gli stessi gruppi di satelliti per di più della stessa azienda che fabbrica anche i lanciatori, allora è immaginabile un risparmio, soprattutto adesso che si dice che il primo stadio possa essere riutilizzato dieci volte. Se invece si deve portare in un'orbita geostazionaria (dai 36mila ai 42mila chilometri di quota, ndr) un unico grande satellite, mettiamo per le comunicazioni televisive, non c'è per adesso evidenza del risparmio».


La guerra in Ucraina accelera le commesse militari nel settore dei satelliti?
«È presto per dirlo, ma già adesso molti di essi hanno una funzione dual, civile e militare. La Terra si può osservare per motivi pacifici, ma anche per controllare il potenziale nemico, non è certo una storia recente. Spetta agli Stati evitare di rendere anche lo spazio una zona di conflitto, come si augurano tutti gli uomini di buona volontà».

Paolo Ricci Bitti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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