La questione di fondo del Diario è che Anne vuole vivere a tutti i costi, e non vuole rinunciare alla sua età: allo stesso tempo diventa presto consapevole della tragedia in cui è sprofondata suo malgrado. Il rapporto tra la vita privata, davvero da diario dell'adolescenza, di una ragazzina, e la grande Storia in cui la ragazzina è condannata a vivere, creano nel Diario scritto uno stupefacente effetto di vitalità fin dentro la morte: una leggerezza che si fa straziante nel momento in cui irrompono nel mondo di Anne gli eventi esterni. Il graphic novel di Folman e Polonsky usa molto gli esterni: cioè racconta anche il mondo al di fuori dell'appartamento nascosto, e ciò dà alla narrazione del fumetto una grande forza di verità maggiore: il mondo esterno che Anne racconta o sente in eco, noi lo vediamo, e questo aggiunge al viaggio interiore e al tono da romanzo del Diario una sorta di intenerito respiro epico, dove parlano insieme a quella di Anne le storie di tutti gli ebrei deportati e massacrati. Nel fumetto di Folman e Polonsky, che potrebbe andare nelle mani di chiunque per essere letto come un romanzo della speranza che sopravvive in mezzo al male banale ma scatenato, non c'è l'errore radicale fatto da film come «La vita è bella»: dove la ricerca della vitalità dentro la morte è ottenuta chiudendo gli occhi sul male, e quindi falsificando ogni cosa, a partire dal titolo. «La vita è bella», certo, ma per chi? Mentre invece, se si vuole un esempio, un piccolissimo film che non è un capolavoro, «Il bambino con il pigiama a righe», ha affrontato la stessa questione della «Vita è bella» con una riuscita perfetta, con leggerezza ma senza strati di pietismo oleografico e spenti birignao. Leggendo e guardando Anne Frank. Diario ci si rende poi conto di una cosa che in un certo senso può sfuggire alla lettura del Diario scritto: il fatto che la cultura aveva per la famiglia borghese di Anne un'importanza enorme, e per Anne costituiva non uno svago o una noia, ma una forma della sua resistenza.
C'è una pagina del graphic novel in cui si vedono i libri pesanti di storia che Anne deve leggere, si scopre che deve imparare a memoria 50 parole di greco e 50 di francese in poco tempo, studiare la mitologia ma anche studiare quali premi hanno vinto le sue amate star del cinema: la cultura viva come nutrimento contro l'oppressione interiore. È un passaggio sottolineato da Folman e Polonsky, e spinge subito a identificare nazismo e fascismo come nemici della cultura, e la cultura come nemica di nazismo e fascismo e di ogni totalitarismo passato o contemporaneo.
La speranza che attingiamo da Anne Frank e dal suo racconto non la attingiamo da un'idea di speranza vuota, oleosamente moralistica e superficialmente vogliamoci bene: no, la speranza che la ragazzina Anne possiede se l'è conquistata senza chiudere gli occhi sull'orrore, senza censurare o rimuovere la tragedia, ma cercando al contrario di sapere. Con una fiducia sconfinata nel potere della conoscenza, quel potere del pensare vero che i pensatori di professione come Heidegger avevano trascinato nella vergogna dell'acquiescenza al potere politico, salvo poi andare a vivere come eremiti e turisti di lusso nell'aria pura e non piena di ceneri di cadaveri della Foreste Nera. E oggi? Oggi, in un tempo che si avvia sempre più all'intolleranza, noi abbiamo ancora e sempre più bisogno del pensiero che non distoglie gli occhi dal male: come il pensiero della ragazzina Anne Frank.