Imma, la farfalla dell'acqua: «Così ho vinto la sfida contro l'handicap»

Imma, la farfalla dell'acqua: «Così ho vinto la sfida contro l'handicap»
di Maria Pirro
Lunedì 28 Ottobre 2019, 12:00
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Imma, la Cerasuolo. Una ragazza di periferia, una campionessa testarda. Amante delle sfide, pronta a scommettere e vincere una promessa di matrimonio ai Giochi. Alta, bionda, occhi chiari. Anche detta Viking. La vichinga. A Barra una napoletana così certo non passa inosservata. Così, con quel sorriso. Un sorriso che diventa un simbolo. Lei, la farfalla dell'acqua, mette alle spalle la tristezza dopo la caduta dal motorino che, nel maggio 1999, le fa perdere l'uso di un braccio. Non ha nemmeno diciannove anni e l'incidente avviene vicino al centro Ester, dove si allena quasi tutti i giorni per le gare. Ed è un po' come ritrovarsi sul blocchetto dei tuffi: «L'inizio di una nuova vita, è nata un'altra Imma», racconta.

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Si riparte con i suoi genitori che l'accompagnano in giro per l'Italia alla ricerca di cure, e lei sceglie un medico che la ribattezza Stellina e, con le sue forze, inseguendo il destino nel nome, entra tra le star dello sport. Oro nei cento farfalla. Argento nei duecento misti («La competizione più sofferta, con uno straordinario recupero. Ho pianto di più per questo successo»). Campionessa ai Giochi. Il nuoto riscatta le amarezze. Sul podio, tra le grandi delle Paraolimpiadi di Atene. Dopo tre anni e mezzo, torna in città con tutti gli onori: ha le medaglie al collo, indossa la tuta degli atleti, e la corona d'alloro restituisce i risultati del lavoro fatto con i tecnici per rimettere in acqua la testa («Avevo paura d'immergerla - ricorda - di non essere più l'atleta di prima, e anche la figlia di prima»). Giù, fino a toccare il fondo, per tirare la testa di nuovo fuori.

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«Papà carrozziere, mamma collaboratrice scolastica», sintetizza le sue origini, indicando i lavori di casa. La famiglia come cura. «Mi hanno portato in piscina all'età di sette anni per la scoliosi. Lì ho poi scoperto una passione per l'acqua», come elemento naturale. Da «normo» - dice nel suo slang - ho partecipato alle gare», e assunto il primo soprannome. «I compagni di corsia mi chiamavano Viking, più che per l'aspetto fisico, per la tenacia», rivela.

Imma, ora. A 39 anni non nuota più in piscina. «Mi paragono al mare, perché mi sento forte e debole insieme. Forte da poter travolgere una nave e portare via un paese. Ma, a volte, basta un po' di vento per placare le onde». Anche in acqua, come tra la gente, si indossa una maschera. «Per non mostrare come sono. Il centro Ester mi ha insegnato a essere la Cerasuolo. Lì ho conosciuto l'amico del momento, il gruppo di sempre, il marito di oggi che mi ha sposato per scommessa. Perché allora disse che l'avrebbe fatto se avessi finto i Giochi. E quella gara non è stata neanche l'ultima». A Londra 2008, il record italiano. «L'ho fatto per mio padre, che ha sempre creduto in me ed è morto di tumore un anno dopo Atene: avrebbe voluto rivedermi in quell'occasione. Ci sono riuscita grazie a Umberto Vela, che mi ha spinto al sacrificio e allenato. Sono orgogliosa di quello che, uniti, abbiamo costruito».

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Da ragazza di periferia, campionessa testarda. Oggi insegnante di grafica all'istituto d'avanguardia Europa. «Il nuoto insegna le regole del fair play, è bello che l'imprenditore Pasquale Corvino sia stato capace di far brillare di nuovo il centro Ester», vuole sottolineare. Vedere i miei figli oggi nella struttura mi riporta indietro nel tempo». Anche Imma collabora con Vela e Corvino in diverse occasioni. «Cammino a bordo vasca, per sentire l'odore del cloro e, quando ho un po' nostalgia, a casa uso la candeggina». L'odore fa bruciare gli occhi, ma riempie il cuore, e la forma dell'acqua si ritrova ovunque. Con quel sorriso lì.
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