Cosimo, l'ergastolano diventato attore: «Ho riscritto la mia storia»

Cosimo, l'ergastolano diventato attore: «Ho riscritto la mia storia»
di Maria Pirro
Lunedì 12 Ottobre 2020, 09:00
4 Minuti di Lettura

«Ho incrociato quella ragazzina lì, che poi è diventata mia moglie, per sbaglio. Avrei dovuto corteggiare sua sorella. Ma, prima di iniziare, tirai a sorte con un altro pretendente, dovetti cedere la mano e, per orgoglio, dissi che la mia favorita in realtà era la minore delle due, e mi feci avanti. Senza più rivali». Fermandola per strada: Gelsomina aveva solo 12 anni. «Posso aspettare, le dissi»: ha atteso lei, in fondo. Mai un passo indietro, in tutte le stagioni dell'amore. E ancora lo guarda negli occhi come fosse la prima volta, mentre Cosimo Rega, salernitano di Angri, coinvolto nella guerra contro Raffaele Cutolo e condannato all'ergastolo, racconta la sua storia riscritta dietro le sbarre e declamata dopo sul palco.

«Sono un detenuto.

Da 41 anni, oggi in semilibertà», dice. «Sono un ex camorrista, anche se non potrò mai dire di essere un ex assassino». Per questo, parla di fine pena mai: «Ho ucciso, e non mi sono mai pentito o dissociato durante i procedimenti penali. E neanche ho potuto chiedere scusa ai parenti delle vittime», aggiunge, spiegando di essere cambiato. «Soprattutto grazie a lei». «Avrei voluto lasciarla libera, dopo la sentenza definitiva. Mi fermò subito, con queste parole definitive: Non sarà un muro di cinta a dividere questa famiglia. Partii così per un viaggio dentro di me, che mi ha portato a fare per tre mesi lo sciopero della fame, avvertendo il desiderio di vivere non solo sopravvivere, sostenuto fin qui». Fin qui è al ristorante Il Poggio in via Nuova Poggioreale per la presentazione del libro del Garante dei detenuti Samuele Ciambriello, a due passi dalla casa circondariale più complessa del Sud. Una delle 28 che Cosimo ha conosciuto da dentro. «Ma la mia cella è diventata veramente una prigione, quando ho scoperto il teatro», è la battuta che pronuncia, da capocomico, ora che è arrivato a Rebibbia. Rega ha interpretato anche Cassio in Cesare non deve morire dei fratelli Taviani, Orso d'oro 2012. Ha incontrato Shakespeare, Dante, Giordano Bruno e tanti altri maestri e drammi. «E ho scritto della mia esperienza, poi portata a teatro da Chi è di scena, grazie a Vincenzo Salemme». Un atto unico recitato con Daniela Marazita dal titolo Nel cuore del Falco. «Un soprannome ereditato da mio nonno, che dava la caccia ai ladri e in cambio riceveva dai pastori un pezzo di formaggio che agguantava con le sue mani grandi. Come un rapace». Il denaro facile lo ha spinto sulla strada del crimine, poi la mancanza di cultura e la formazione delinquenziale in cella, l'ambizione di voler emergere nel suo paese fino alla sensazione di avere perso tutto, al momento delle accuse dei collaboratori di giustizia e del verdetto dei giudici. «Per non cedere, mi sono messo a studiare e laureato al Dams e così mi sono ritrovato fuori senza nemmeno rendermene conto». Sul palco, alle conferenze sulle misure alternative per la riabilitazione, e anche tra i ragazzi delle scuole che non gli risparmiano domande.

«Cosa si prova dopo aver ucciso, a questa non si può rispondere». Un ricordo privato, che Rega cerca invece di riassumere, è la prima uscita in permesso premio. Dopo 20 anni da recluso. E quella ragazzina lì ad aspettare, sotto un ombrello per ripararsi dalla pioggia. Lui oggi ha 68 anni, due figli, un lavoro come portiere in un ateneo romano, l'obbligo di tornare a Rebibbia ogni sera, il dispiacere di non aver viaggiato nel resto del mondo e un desiderio per l'intera durata delle inchieste rimasto inespresso. «Vorrei incontrare i parenti di Giuseppe Parlati e Angelo Santaniello, che ho reso orfani. Vorrei chiedere e dire loro tante cose». In altre stanze, altre voci.

© RIPRODUZIONE RISERVATA