Il ragazzo fantasma, 12 anni in trappola nel suo corpo a guardare il dinosauro Barney

Il ragazzo fantasma, 12 anni in trappola nel suo corpo a guardare il dinosauro Barney
di Chiara Graziani
Mercoledì 14 Gennaio 2015, 13:03 - Ultimo agg. 15:31
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Dodici anni in trappola nel proprio corpo, sentendo e vedendo ma senza riuscire a muovere un muscolo, a gridare «io sono vivo». L'hanno chiamato ghost boy, il ragazzo fantasma, perchè per dieci anni lui è stato uno spettro rinchiuso in quello che apparentemente era un tronco morto ed invece traboccava di vita, dolore, amore per il grande papà che gli parlava normalmente e lo accudiva senza immaginare di essere ascoltato. L'amore più grande, forse: sapere che tu esisti anche se tutto dice di no, solo perchè io ti amo. L'amore di suo padre l'ha creato, ogni giorno. E, forse, lo ha anche resuscitato. La storia di Martin Pistorius è la più incredibile che si possa raccontare. E, di mezzo, c'è anche un dinosauro rosso, Barney.

Pistorius, cittadino britannico ed oggi completamente recuperato e felicemente sposato, lo ha scritto in un libro "Ghost boy".

A 12 anni, per una malattia non identificata, è precipitato in un coma nel quale, per chi lo guardava da fuori, sopravviveva come un fungo. Invece, dall'età di 16 anni, il ragazzo fantasma è tornato a percepire ogni cosa attorno a lui. Senza poter dare l'allarme e dire: «Ci sono, ci sento, ci vedo, aiutatemi».

In un centro, ricorda, gli infliggevano le repliche a ripetizione di un pupazzo animato, Barney il dinosauro rosso. Un tirannosauro parlante che, alla fine, gli divenne tanto odioso da essere una spinta in più a cercare la fuga dal carcere del suo corpo. Barney lo torturava mentre lui cercava di concentrarsi su qualche cosa di reale ed ancorato alla vita in corso, come decifrare l'ora dalle ombre: «capacità che ho conservato», scrive e dichiara ai giornali.

Un altro ricordo, fra i più pesanti, gli occhi di sua madre pieni di lacrime. Lei, a differenza del marito, non sapeva di essere ascoltata e gli diceva pensando di rivolgersi ad una statua: «Devi morire, figlio mio».Aveva perso la speranza ma Martin non voleva morire. Una testimonianza unica, la sua. Non erano il dolore o l'immobilità il suo problema maggiore, ma «il terrore di non essere amato». L'amore (ed un po' l'odioso Barney) lo hanno riportato a casa.