L'uomo sulla Luna: la prima pagina storica del 1969 in edicola con il Mattino

Cinquantatré anni fa Neil Armstrong poggiava i piedi sul suolo lunare,

La prima pagina storica del 21 luglio 1969
La prima pagina storica del 21 luglio 1969
di Massimo Capaccioli
Martedì 15 Novembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 19:11
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Cinquantatré anni fa, il 21 di luglio alle 3:56 (ora Italiana), lasciata con comprensibile ansia la scaletta del lander, Neil Armstrong poggiava i piedi sul suolo lunare, seguito a 19 minuti di distanza dal compagno Buzz Aldrin. Era la prima volta nella storia dell'uomo. I due astronauti erano scesi sul suolo lunare sei ore prima e avevano schiacciato un sonnellino per riprendersi dallo stress della discesa prima di affrontare l'ignoto di una passeggiata su un terreno totalmente sconosciuto. Il mondo intero seguì l'impresa a bocca aperta e i giornali titolarono l'evento a caratteri cubitali. Ho un vivido ricordo di quei momenti vissuti ascoltando la radio, leggendo avidamente la stampa (Sono sulla luna, titolò in prima pagina Il Mattino a caratteri cubitali) e guardando la Tv.

Eravamo tutti attoniti ed entusiasti, increduli e insieme fiduciosi che l'Apollo 11 sarebbe riuscito nell'impresa di riportare a casa i primi due esploratori umani della Luna. Io m'ero laureato in Fisica proprio il giorno della partenza della missione e giudicavo la coincidenza come una sorta di invito a gettare il cuore oltre l'ostacolo e a tuffarmi con tutte le mie forze nel meraviglioso mondo della ricerca. Non era solo idealismo di un ragazzo. Il mondo dava l'impressione di stare vivendo una nuova belle époque nel segno della scienza, un rinnovato positivismo motivato dalla voglia di lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra e blindato dalla paura delle nuove armi atomiche che frustravano i sogni egemonici delle due superpotenze in cui s'era diviso il mondo. Un bel sogno e un brusco risveglio, perché il lupo perde il pelo ma non il vizio. 

In effetti, lo stesso programma Apollo che aveva portato l'uomo sulla Luna era nato con motivazioni assai meno nobili di quelle sottintese nelle parole con cui nel 1961 John Fitzgerald Kennedy aveva annunciato la volontà della sua amministrazione di sbarcare sulla Luna entro il decennio: non perché è cosa facile, ma perché è difficile. Insomma, non si trattava di dimostrare di che pasta sono fatti gli americani ma piuttosto di vincere una partita che fino a quel momento aveva visto gli Stati Uniti clamorosamente perdenti rispetto all'Urss: giusto un mese prima Gagarin aveva effettuato il primo volo orbitale attorno alla Terra, arricchendo così il carniere del progettista capo Sergej Korolev con un altro primato dopo quelli dello Sputnik e della cagnetta Laika. Fu così che, grazie a una mossa abile quanto spericolata di Kennedy, la corsa alla Luna, già avviata dai Sovietici mediante sonde robotiche, prese i connotati di una gara sportiva. Vinca il migliore, costi quel che costi. Oltre la cortina di ferro, Nikita Krusciov si giocava la reputazione di un comunismo trionfante e la sua stessa fragile poltrona. Per parte sua Kennedy doveva distrarre l'opinione pubblica dai primi clamorosi insuccessi della sua amministrazione, tra cui il fallito sbarco alla Baia dei Porci per deporre Fidel Castro, e far recuperare l'orgoglio nazionale ad americani avviliti e spaventati dai successi dei comunisti. In entrambi i casi gli ideali venivano dopo le ragioni pratiche, come dimostra il fatto che gli yankee decisero di passare la spugna sui crimini di guerra di Wernher von Braun pur di assicurarsi i servizi di questo autentico genio dell'astronautica. 

Niente di nuovo sotto il sole. La stessa avventura spaziale aveva cambiato pelle dopo essersi avviata, poco più di mezzo secolo prima, grazie a un pugno di disinteressati sognatori, tra cui il russo Konstantin Ciolkovskij, pioniere della missilistica, l'americano Robert Goddard, inventore del razzo a propellente liquido, il tedesco Hermann Oberth e l'ucraino Yuri Kondratyuk, ideatore della strategia di volo usata poi dal programma Apollo, restando però ai margini dei prepotenti sviluppi scientifici e tecnologici dei primi decenni del 900. Un'attività amatoriale che, con la salita al potere dei nazisti in Germania all'inizio degli anni Trenta, si trasformò in un progetto militare di punta. Evirati dal pesantissimo trattato di Versailles che proibiva loro l'acquisizione di ogni tipo di armamento, i tedeschi avevano scoperto che il divieto non contemplava i razzi, per la semplice ragione che queste macchine volanti erano ancora a livello di giocattoli. Si buttarono quindi nello sviluppo di missili sempre più performanti fino a realizzare, grazie a von Braun, le famose V2: bombe volanti che per un paio d'anni tormentarono l'Inghilterra senza però ottenere il risultato che Hitler s'attendeva da questa costosa arma segreta a perdere. 

La stessa guerra partorì un'ulteriore esigenza di sviluppo della missilistica. Coi bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki gli Stati Uniti avevano mostrato al mondo la potenza distruttiva dell'atomica, spaventando soprattutto il compagno Stalin il quale temeva succedesse ciò che Churchill andava già predicando: un attacco dell'occidente all'Unione Sovietica a valle della vittoria sui nazifascisti. Fece quindi in modo di provvedersi dell'arma che faceva la differenza, pareggiando così le forze in campo e ad un tempo paralizzando il mondo in un braccio di ferro che nessuno dei due contendenti poteva perdere, pena la catastrofe generale. Gli serviva però un mezzo per far scavalcare l'oceano alla sua bomba: problema che, con le loro basi in Europa, gli americani non avevano, potendosi servire delle fortezze volanti. La necessità si trasformò in un massiccio sforzo tecnologico che, grazie al genio e al patriottismo di Korolev, portò nel 1957 alla realizzazione del vettore intercontinentale R-7 Semiorka. Stalin era ormai morto da 4 anni. Al suo posto sedeva Krusciov che accolse con favore la proposta del progettista capo di convertire l'R-7 in un lanciatore per un satellite artificiale. Nacque così lo Sputnik, figlio della paura e della volontà di supremazia, ma anche simbolo di una nuova stagione della storia. 

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Entusiasta di questo primo successo, Krusciov decise di investire nello spazio risorse ingenti, forse superiori a quelle che il suo paese poteva permettersi e soprattutto che i militari accettavano di veder sottratte al loro budget, collezionando un primato dopo l'altro, mentre gli americani stavano a guardare. Poi, con Dwight Eisenhower la musica cambiò. Ike, il generale che aveva guidato gli yankee alla vittoria in Europa, decise di togliere lo spazio dalle mani dei militari creando una agenzia totalmente civile, la Nasa, e Kennedy mise nell'impresa lunare tutta la potenza economica e industriale degli Usa. Un fiume di denaro che forse si sarebbe essiccato se non fosse stato per l'assassinio del presidente a Dallas, che trasformò la sua promessa in una missione da assolvere in sua memoria. Così Armstrong e Aldrin poterono toccare la Luna. Una impresa sensazionale, ai limiti del miracolo, ma anche una vittoria di Pirro. Tagliato il traguardo ed effettuati alcuni esperimenti scientifici, nessuno volle più rischiare denaro, reputazione e vite umane in un'avventura senza altri ritorni. Così la Luna, dopo essere stata violata nell'arco di tre anni da 5 equipaggi americani, è stata abbandonata per mezzo secolo a se stessa. Oggi stiamo provando (con difficoltà) a tornarci grazie all'iniziativa di privati, spinti non più dalla sete di potere ma dai soldi. La Luna ci guarda e scuote il capo scontenta. 

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