Da Fuorigrotta a Wolfsburg
l’infinito brivido del 10 maggio

Da Fuorigrotta a Wolfsburg l’infinito brivido del 10 maggio
di Bruno Majorano
Mercoledì 10 Maggio 2017, 08:44
6 Minuti di Lettura
Lui non c’era quella volta al San Paolo, ma il primo scudetto del Napoli se lo porta cucito addosso. Ci è cresciuto un po’ alla volta. Giorno dopo giorno. Si chiama Angelo, viene da piazza Mercato, fa l’imbianchino ed oggi è il suo compleanno perché è nato il 10 maggio del 1987. Compie trent’anni, proprio come il tricolore del Napoli. É un volto storico del tifo azzurro perché virtualmente abbraccia due generazioni: quelli che lo scudetto l’anno visto e vissuto, e quelli che invece se lo sono perso. «Se andate alle spalle di piazza Mercato, lì dietro, dove si arriva al Borgo Orefici, c’è un disegno grande quanto una parete. Ecco, quello l’ho fatto io: Maradona e Calaiò insieme», mano nella mano, come le due generazioni di tifosi del Napoli che camminano l’una affianco all’altra.

Come lui, ovvero nel segno e nel sogno di un Napoli vincente, è cresciuto anche Massimiliano Liberti, tifoso azzurro da 30 anni. «Sono nato il 18 agosto del 1987, circa due mesi dopo quel giorno che per la mia famiglia e per tutti i napoletani è diventato storico». Un giorno che ha inevitabilmente segnato la sua vita, seppure sia arrivato prima ancora della sua nascita. «Chiaramente non ho ricordi particolari di quell’anno, ma posso giurare che la mia grande fede calcistica per il Napoli deriva certamente anche da quella data». Segni particolari? Tifosissimo. «Sono cresciuto in una casa dove l’azzurro è sempre stato il colore predominante e anche oggi la passione per la squadra della mia città deriva proprio dall’euforia e dall’entusiasmo contagioso che ha caratterizzato quegli anni». 
Chi invece il 10 maggio dell’87 a Napoli c’era eccome è l’attore comico Peppe Iodice. «Ovviamente ero allo stadio. Con un gruppo di amici». Ricordi tanti. «Innanzitutto un’ubriacatura generale: e pensare che all’epoca ero ancora astemio e quella fu la mia prima sbronza senza alcol. Non ricordo neanche quando sono tornato a casa: forse tre giorni dopo». Per essere allo stadio e vivere al meglio quella stagione indimenticabile aveva escogitato un infallibile stratagemma. «Facevo lo “staccabiglietti” allo stadio, quello che oggi chiamano steward». Ma non quel giorno. «Il biglietto di quella partita lo comprai: mi diedi malato perché la volevo vedere da tifoso e viverla tutta». Era nei Distinti. «Fu un’emozione indescrivibile. Prima, durante, dopo la partita. Credo di aver fatto 50 chilometri a piedi. Ci buttammo su un camion di persone impazzite che festeggiavano. In quella notte eravamo un’unica famiglia».
Al San Paolo c’era anche un altro attore napoletano: Biagio Izzo. «Sì che c’ero. Ero allo stadio con i miei fratelli e fu qualcosa di indimenticabile». Un momento bellissimo per loro e per tutti. «Pensavamo alla gioia della gente. Ci sentivamo orgogliosi e onorati di questo traguardo raggiunto: la rivalsa della città, Napoli era la più bella e la più importante». Il tutto legato anche ad un aneddoto scaramantico. «Avevo appena girato il film di Nino D’Angelo “I ragazzi della Curva B” e sentivo dentro di me come se avessimo portato fortuna alla squadra».
 
 

Sul “palco” dello stadio di Fuorigrotta quel 10 maggio di trent’anni si esibiva (ma senza la sua chitarra) a gran voce Guido Lembo, che per un giorno cantava canzoni d’amore solo per la squadra del suo cuore. «Quando la sera tardi arrivammo a Capri tremavo ancora dalla felicità. Quando uscimmo dal San Paolo c’era un vero e proprio tappeto di gente: una cosa indescrivibile. Dallo stadio a Mergellina andammo a piedi perché era tutto bloccato».
Non era al San Paolo perché troppo piccola ancora, ma Susanna Petrone la festa in strada non se la perse. «Scendemmo in strada con mio fratello e mio padre che già grandi appassionati del Napoli. Ricordo che tutti si abbracciavano senza manco conoscersi: una scena bellissima. All’epoca non era ancora una super tifosa perché ancora piccola, ma ricordo il gran casino che c’era: per me era come giocare e divertirsi con gli altri. Una vera e propria festa».

A proposito di festa. Decisamente sui generis quella vissuta il 10 maggio dell’87 dall’attore Patrizio Rispo perché lui a Napoli quel giorno non c’era. «Ero a Wolfsburg, in Germania, e lì sono tutti meridionali e pertanto tifosi del Napoli. Ero lì perché stavamo mettendo in scena l’opera teatrale “Filomena Maturano”. Non potete immaginare il delirio che si scatenò quella sera: ci portarono in trionfo e lo spettacolo durò più di quattro ore». Un teatro trasformato in stadio, insomma. «I festeggiamenti si protrassero per tutta la durata dello spettacolo. Il Napoli in quel momento era l’orgoglio nazionale e così in platea cominciarono a comparire sciarpe e bandiere azzurre. Per chi vive fuori Napoli fu un momento di emozione ancor più amplificato, perché l’emigrante si lega di più a questi eventi e c’è sempre una piccola vena malinconica».

Un po’ più a sud di Wolfsburg festeggiava in una camera d’albergo Gino Rivieccio. «Ero a Milano perché all’epoca lavoravo in televisione e stavamo registrando una trasmissione», racconta con un pizzico di nostalgia, ma anche di orgoglio. «Era una domenica afosa e ricordo che ho potuto godere in una città non amica in quel periodo vista la rivalità dei tempi con il Milan degli olandesi». E così vengono fuori anche i ricordi. «Nel residence dove alloggiavo ero davanti alla tv ed esplosi letteralmente al gol di Carnevale». Gioia doppia per un napoletano tifosissimo del Napoli e “costretto” per motivi lavorativi a vivere quell’annata indimenticabile in una città calcisticamente ostile come Milano. «Quando il Napoli veniva da queste parti andavo a vedere tutte le partite. Ricordo perfettamente una gara di Coppa Italia giocata a Brescia: vincemmo 3-0 con un Maradona davvero strepitoso». All’epoca Gino Rivieccio era un po’ il portavoce del sorriso per i giocatori del Napoli con i quali era in continuo contatto. «Quando venivano a Milano li raggiungevo all’hotel Brun, quello vicino a San Siro. L’allenatore, Ottavio Bianchi, mi vedeva come quello che distraeva i calciatori e mi faceva sempre allontanare, poi Carlo Iuliano, lo storico e indimenticabile addetto stampa del Napoli, mi faceva andare a salutare i ragazzi». Sì, perché con alcuni di loro (ma quasi con tutti sarebbe il caso di dire) l’attore napoletano aveva davvero un rapporto speciale. «Andrea Carnevale e Bruno Giordano si facevano ripetere sempre le battute del monologo che facevo io sullo stadio e l’ingresso negli spogliatoi. Credo di averglielo ripetuto centinaia di volte ma sembrava che per loro fosse sempre la prima volta». Ma non solo. «Con Renica facemmo una vacanza con le nostre mogli ai Caraibi, mentre tra i miei sketch più riusciti dell’epoca c’era anche la famosa imitazione al grande capitano Peppe Bruscolotti». E poi, ovviamente c’era il rapporto con Maradona. «Mi regalò una sua maglia d’allenamento, quando ancora erano al Centro Paradiso. Gli dissi che era per un mio amico, ma in realtà la tenni per me perché aveva un valore inestimabile. Ammetto di non averla mai lavata e oggi posso dire che c’è ancora l’alone di Diego».
© RIPRODUZIONE RISERVATA