Cannes, riecco Johnny Depp: «Non è un ritorno: mai andato via»

Johnny Depp
Johnny Depp
di Titta Fiore
Giovedì 18 Maggio 2023, 07:43 - Ultimo agg. 16:11
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Il «pirata» tutto genio e sregolatezza e il divo-produttore, manager del proprio talento. Johnny Depp e Michael Douglas, due facce di Hollywood, due modi di intendere il cinema e la vita. Anche ieri a Cannes, dopo il trionfale red carpet dell'apertura, si sono presi la scena raccontandosi in un confronto a distanza che nelle differenze li ha svelati più simili di quanto la loro immagine faccia pensare: individualisti, anarcoidi, in ogni caso protagonisti. Uno ha centellinato le risposte, nella conferenza stampa del film di Maïwenn in cui interpreta Luigi XV, l'altro non si è risparmiato, dando la stura ai ricordi di una carriera eccezionale, nella prima delle masterclass dedicata ai maestri della settima arte. Ed entrambi hanno fatto intravedere qualcosa di sé.

Attaccato sui social dalle attiviste del MeTooo, criticato dalla campagna #CannesYouNot lanciata da Eve Barlow, giornalista e amica dell'ex moglie Amber Heard che lo ha trascinato in un devastante processo «per molestie domestiche», osannato dalla folla in delirio e applauditissimo al Palais dopo la proiezione di «Jeanne Du Barry», Johnny Depp non viene meno alla fama di divo «ingovernabile» e si presenta all'incontro stampa con un'ora di ritardo, dopo aver disertato la cena di gala in onore del film.

Quando gli chiedono delle polemiche sulla sua presenza a Cannes, misura le parole: «Ho letto cose positive e negative, fantastiche e orribili, ma conosco il circo mediatico di Cannes, ci vengo da anni e so stare al gioco». 

La proposta di fare «Jeanne Du Barry» arrivata nel pieno della tempesta giudiziaria e dopo il licenziamento dalle saghe del «Pirata dei Caraibi» e «Animali fantastici», gli è sembrata «una specie di miracolo, tutto il resto non ha importanza». Nel resto, oltre la profonda gratitudine per Maïwenn che lo ha voluto sul set, c'è anche la fatica fatta per recitare le battute in perfetto francese, nonostante gli anni passati in Provenza con l'ex compagna Vanessa Paradis, mamma di sua figlia Lily Rose che tra qualche giorno sarà a Cannes con la serie «Idol»: «Mi sono impegnato al massimo, ma senza la mia coach bravissima e paziente non ce l'avrei mai fatta». 

Capelli lunghi, occhi bistrati, occhiali scuri, Depp misura le risposte. Si è sentito boicottato da Hollywood? «Quando ti viene chiesto di dimetterti da un film in cui stai lavorando a causa di qualcosa fatto di vocali e consonanti che fluttuano nell'aria, beh, sì, forse ti senti boicottato. Ma in realtà io non mi ritengo boicottato, semplicemente perché non penso a Hollywood». Dal processo intentato da Amber Heard l'attore è stato assolto. Come giudica quanto gli è capitato? «Viviamo un momento abbastanza strano, nel quale tutti ambiscono ad essere se stessi ma non ci riescono. C'è gente che vuole credere ciò che gli piace, ma la verità è la verità. Su di me negli ultimi tre o quattro anni sono state scritte orribili falsità». Ma ora che il peggio è alle spalle e si prepara a girare un film da regista e ha appena firmato un contratto da venti milioni di dollari con Dior, come definirebbe il suo ritorno? «Parlare di ritorno è un cliché, non significa niente. Io non me ne sono mai andato».

Michael Douglas, figlio del grande Kirk, due Oscar per «Qualcuno volò sul nido del cuculo» e «Wall Street» appartiene a una famiglia che ha fatto la storia di Hollywood e a 78 anni è una miniera di aneddoti. Come quando nel 1992, racconta nella masterclass seguita alla Palma d'oro onoraria, «scioccammo la platea di Cannes con "Basic Instinct". Oggi forse il film di Paul Verhoeven passerebbe inosservato, allora fu uno scandalo. Ricordo le facce degli spettatori davanti a tutte quelle scene di sesso esplicito, la cena di gala fu imbarazzante. Ma poi non ci fu moglie francese che non convinse il marito ad andare al cinema».

Le scene sexy con Sharon Stone? «Sul set avevamo l'intimate coach, bisogna immaginare quei momenti come una specie di coreografia, e Sharon fu pazzesca». Sempre a Cannes il divo presentò in anteprima «Dietro i candelabri» sul pianista Liberace. «Avevo fatto cicli di chemio per contrastare il cancro alla gola e alla lingua, arrivai alle riprese che ero uno scheletro. Così, d'accordo con Soderbergh, le rimandammo fino a che non mi fossi ripreso». Olive Stone lo diresse in «Wall Street»: «Per Gekko voleva che fossi un vero mascalzone, ma la cosa evidentemente non è riuscita perché quel personaggio è nel cuore di tutti». Ora, appagato negli affetti («la mia famiglia è tutto»), è impegnato in una campagna delle Nazioni Unite contro la diffusione delle armi. E sull'intelligenza artificiale ha le idee chiare: «Potrà diventare un problema, ma mi piacerebbe trasformarmi in un ologramma con cui poter parlare».
 

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