“Finalmente l'alba” di Saverio Costanzo al cinema: «Il riscatto di una donna e la fine della dolce vita»

Dedicato a Maurizio Costanzo, il film si chiude su una struggente poesia di Pavese

Saverio Costanzo
Saverio Costanzo
di Titta Fiore
Martedì 13 Febbraio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 14 Febbraio, 07:28
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Omaggio toccante al cinema del dopoguerra, tra Neorealismo, kolossal in costume e dolce vita, riflessione sull'identità femminile, film nel film e racconto di formazione ispirato a un caso di cronaca che fece scalpore negli anni Cinquanta, «Finalmente l'alba» di Saverio Costanzo arriva da domani nelle sale dopo essere stato tra i protagonisti del concorso all'ultima Mostra di Venezia.

La storia si snoda tra un giorno e una notte d'aprile del 1953, proprio quando sulla spiaggia di Capocotta, poco lontano da Roma, fu ritrovato il corpo senza vita di un'aspirante attrice di appena ventun anni, Wilma Montesi.

Nella morte della donna, tuttora senza responsabili, furono implicati alti nomi della politica e dello spettacolo e l'Italia, scrissero i giornali dell'epoca, travolta dal caso «perse l'innocenza». In quelle ore fatali una ragazza di borgata, Mimosa (l'esordiente Rebecca Antonaci), finita a fare la comparsa in un «peplum» di Cinecittà, viene coinvolta in una notte brava dai divi americani Josephina Esperanto (Lily James) e Sean Lockwood (Joe Keerey di «Stranger Things») e dal loro amico e mentore Rufus Priori, interpretato da Willem Dafoe. Sarà proprio lui ad accompagnarli a una festa in una villa sul litorale romano dove, tra fiumi di champagne e cocaina, lo sguardo sulla vita di Mimosa cambierà per sempre.

Sullo sfondo di suggestioni felliniane ed echi di «Roma città aperta», svariando dalla grandiosità dei «sandaloni» alla «Cleopatra» ai sogni di gloria di «Bellissima», Costanzo affronta temi contemporanei. 

«Il nostro non è stato mai un paese semplice per le donne» dice, «e oggi le cose, purtroppo, non sono molto cambiate. All'inizio volevo scrivere un film sull'omicidio Montesi, che rappresentò per l'Italia un tragico archetipo, perché fu il primo caso di assassinio mediatico. La stampa speculò sulla vicenda che coinvolgeva personaggi noti e nel pubblico nacque un'ossessione che presto diventò indifferenza. Poi l'idea iniziale è cambiata, come spesso accade scrivendo, e piuttosto che far morire l'innocente, ho cercato il suo riscatto. Così mi sono immaginato che un'aspirante attrice, come era stata Wilma, avesse il suo stesso sogno e da lì è partito il racconto. La protagonista Mimosa è una ragazza semplice, un simbolo di ingenuità, di purezza, che in un giorno e una notte cambia ma senza perdersi, uscendo alla fine come una leonessa».

Tutto è filtrato dallo sguardo della giovane donna, «un foglio bianco», aggiunge il regista, «su cui ciascun personaggio scrive la sua storia, senza paura di essere giudicato». Dopo la grande esperienza dell'«Amica geniale», è tornato a confrontarsi con l'universo femminile: «Ho costruito il personaggio della protagonista pensando a Giulietta Masina, con la sua femminilità non scontata, buffa e non convenzionale. Mimosa guarda il mondo con candore, non vuole farcela a tutti i costi e invita lo spettatore ad avere il coraggio dell'innocenza che la libera dalla paura».

«Finalmente l'alba», kolossal da 28 milioni di euro prodotto da Wildside con Rai Cinema (in collaborazione con Fremantle, Cinecittà e Filmnation), esce in 300 copie distribuite da 01 in una versione più breve di circa trenta minuti rispetto a quella vista a Venezia. Spiega il regista: «I tagli fatti al film erano già dentro di me, l'ho scoperto proprio vedendolo alla Mostra assieme al pubblico, ho sentito che avrebbero giovato al mio lavoro». Nel cast internazionale anche Alba Rohrwacher nei panni di Alida Valli: «Misurarsi con il suo mito è stato un modo per renderle omaggio» racconta l'attrice. «E comunque nel film è proprio lei a capire l'autenticità di Mimosa e a metterla in guardia». Dedicato a Maurizio Costanzo, il padre del regista recentemente scomparso, il film si chiude su una struggente poesia di Pavese, «Passeggiando per piazza di Spagna», che accompagna il nuovo giorno della protagonista accarezzando il suo cambiamento con una suggestiva metafora. «Sono un uomo del Novecento» spiegava al Lido il regista, «per me il cinema è ancora centrale, niente ha più spinta propulsiva delle immagini in una sala buia, guardare i film è un'esperienza formativa, un insegnamento che ci cambia». 

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