Cucchi, «Sulla mia pelle» a Venezia
tra rabbia e commozione

di Titta Fiore
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VENEZIA - Sui primi piani del volto scavato e sofferente di
Alessandro Borghi, così simile a quello di Stefano Cucchi
che abbiamo imparato drammaticamente a conoscere dalle foto di
cronaca, scattano gli applausi commossi. Sette minuti di ovazione e
qualche lacrima alla prima proiezione pubblica di «Sulla mia
pelle», il film di Alessio Cremonini che ha aperto la sezione
Orizzonti e ricostruisce, con il rigore del reportage
(«abbiamo studiato più di diecimila carte
processuali», racconta il regista), gli ultimi sette giorni
di vita del ragazzo romano arrestato per spaccio e morto in carcere
dopo molti pestaggi. Sul caso, ancora aperto, Cremonini spiega di
non aver voluto fare un processo nel processo: «I film non
sono aule di giustizia, quello che è successo ce lo devono
dire i magistrati». Ma snocciola dati e cifre, per dare al
discorso la forza incontrovertibile dei numeri e delle statistiche:
«In carcere si muore, negli ultimi cinque o sei anni si sono
contati ottocento morti, e molti sono suicidi. Dopo Stefano, in
poco tempo, altri trentacinque. Non è un mistero che in
questo Paese il sistema carcerario faccia acqua da tutte le
parti». Borghi si è calato nei panni di Cucchi con
pietas umana e passione civile: «Nella sua tragica vicenda
Stefano ha incontrato più di cento persone e nessuno gli ha
dato una mano, nessuno si è assunto la responsabilità
di denunciare». La cosa più difficile del ruolo?
«Senz'altro perdere diciotto chili, mangiando lenticchie
decorticate e poco altro con i consigli di una brava nutrizionista
sono arrivato a 62 chili, ma ero intrattabile, quasi fuori di me.
La squadra mi ha aiutato, mi sono sentito protetto e le cose sul
set hanno preso da sole la piega giusta. L'ho capito quando la
sorella di Cucchi, Ilaria, ha visto il film e mi ha detto
abbracciandomi: Non so come ci sei riuscito, ma sei uguale a
lui».
Giovedì 30 Agosto 2018, 11:00 - Ultimo aggiornamento: 30-08-2018 11:50
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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