Achille Lauro torna con il nuovo album e un omaggio a Maradona: «Diego è il re del punk»

Achille Lauro torna con il nuovo album e un omaggio a Maradona: «Diego è il re del punk»
di Federico Vacalebre
Venerdì 16 Aprile 2021, 08:00
5 Minuti di Lettura

Achille Lauro vuole la botte piena e la moglie (ma anche il marito, se preferite, non è questione di gender) ubriaca. «Lauro», il suo sesto album, prova a tenere insieme il suono mainstream e la provocazione tardopunk, la radiofonicità di canzoni che più di una volta fanno pensare al Vasco nazionale e il diritto alla libertà creativa. Dopo il trittico «1969» (2019), «1990» (2020) e «1920» (2020), torna ai giorni nostri, ammesso che nel suo retromodernismo se ne fosse mai allontanato. In «Come se» fa il poeta spaccone alla Piero Ciampi («se voglio per luglio e agosto ti prendo via del Corso e ci metto in camerieri»). Nel brano che dà il titolo al lavoro promette: «non lo faccio più», prova a dire addio alla vita spericolata, alla «colazione con le pillole» come in un dialogo con se stesso e con la madre.

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«Lauro»: una maniera per riaffermare l'identità dopo così tanti travestimenti?
«Mi hanno dato del manichino, del pupazzetto costruito a tavolino, ma io non inseguo il mercato, casomai lo creo».

Dentro c'è di tutto: riff di chitarre glam in stile nostalgia canaglia, ballate melanconiche, l'ineludile richiamo della canzone all'italiana, la rude velocità del punk...
«Mi sono formato con quei suoni, li ho portati in scena, anzi incarnati, all'ultimo Sanremo, dove sono stato uno spettacolo nello spettacolo, mettendomi al servizio dello show, di Amadeus e Fiorello».

Manca il rap, da cui pure eri partito.
«Di quella stagione mi è rimasta l'attenzione alla parola, la ricerca del verso ad effetto, il primato del verbo.

Ma dentro di me ci sono mille suoni e mille influenze. Non il reggaeton, che è la dimostrazione dell'esistenza dell'inferno».

E il paradiso cos'è per Davide De Marinis, trentenne romano?
«Oddio... il paradiso può attendere».

Ma aprirà mai le porte alla «Generazione X» del tuo disco? Che poi non erano i nati tra il 1965 e il 1980?
«I ragazzi di oggi sono persi come quelli descritti da Douglas Copland, cercano Dio dovunque tranne dove dovrebbe essere secondo quelli che li hanno preceduti, non credono a niente e nessuno, sono lost in translation senza chiedersi nemmeno quale sia la loro destinazione, dipendono più dalle tecnologie che dalle droghe».

La donna è al centro di canzoni diverse come «Marilù», «Femmina», «Sabato sera».
«Marilù è bambina agli occhi di papà, donna agli occhi degli altri. Lei è seduzione, sesso, melanconia. Una canzone femminista, un elogio di una donna libera davvero, l'opposto di Femmina, che descrive un universo maschilista e machista che resiste, una virilità marcia».

Non hai paura che l'immaginario di «Femmina» ti meriti la scomunica dei nuovi teorici del politicamente più che corretto?
«No, se generalizzi sbagli, ma se parli di una donna, di un uomo, beh devi poter dire quello che pensi. Bella stronza di Masini è una bella canzone, a patto che qualcuno scriva anche Bello stronzo».

Un omaggio inatteso è quello di «Barillete cosmico».
«Aquilone cosmico è la definizione mitologica con cui il radiocronista uruguayano Victor Hugo Morales definì Diego Armando Maradona dopo il secondo gol durante la partita Argentina-Inghilterra del 1986».

Il gol del secolo.
«Diego era più punk dei Sex Pistols, il re del punk, in qualche modo il pezzo è diretto, sporco e magico come lui».

Come stai vivendo la clausura da pandemia?
«Io vivo chiuso in casa a prescindere, inseguo i particolari delle mie canzoni, delle mie esibizioni, ma questa prigionia, questa cattività... Speriamo finisca il prima possibile, intanto ho buttato giù un centinaio di canzoni».

E adesso?
«Vorrei dare spazio a Lauro, a un certo punto mi piacerebbe sparire come Mina e lasciare solo la musica».

Davvero? Rinunciando a tutto l'ambaradan visivo? Non sarà l'ennesima maniera per fare notizia? Intanto: il mondo della musica si sta battendo molto per il ddl Zan, contro l'omotransfobia.
«È incredibile che in Italia ci sia ancora chi non vuole il libero amore in un libero stato».

Sei passato da «Barabba a maharaja». Effetti collaterali?
«Non sopporto quelli che sparlano di me senza sapere niente. Mio padre ha fatto il professore universitario per tutta la vita e la sua carriera l'ha fatta per meriti. Sono figlio di gente onesta, i miei successi e i miei fallimenti li ho costruiti con le mie mani, avendo alle spalle l'amore di una famiglia e la creatività della comunità di disgraziati dove sono cresciuto: tossici, rapper, birbanti, in mezzo a loro c'era sempre qualcuno che sapeva scrivere o inventarsi un mondo migliore di quello che c'era fuori le nostre mura».

Nell'album precedente hai inciso «Tu vuo' fa l'americano» con Gigi D'Alessio.
«Per avvicinarmi al supremo Carosone ho studiato il dialetto napoletano. L'americano di Napoli è un mito ha aperto la strada a tutti quelli che hanno radici e tradizioni, ma anche occhi aperti sul mondo e voglia di vederlo e farlo suonare quel mondo». 

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