Branduardi al Palazzo Reale di Napoli: «Alla fiera dell'Est? La canto in ucraino»

Branduardi al Palazzo Reale di Napoli: «Alla fiera dell'Est? La canto in ucraino»
di Enzo Gentile
Mercoledì 13 Luglio 2022, 08:57
3 Minuti di Lettura

Angelo Branduardi taglia il traguardo dei 50 anni di carriera, durante i quali ha suonato tantissima musica, conservando sempre un'eleganza e uno stile di fondo, quando era in cima alle classifiche o quando si rifugiava in repertori di nicchia. Tra le tante formule sperimentate, di rado c'era quella del dio, che invece lo porta domani sera a Napoli, nel calendario del «Palazzo Reale summer fest».

Ad accompagnarla, nel set denominato «Camminando camminando in duo», il polistrumentista Fabio Valdemarin.
«È uno dei musicisti di maggior talento e sensibilità che io abbia incontrato in vita mia.

Insieme presentiamo un repertorio classico ma non solo, che comprende Monteverdi, Mozart, Dowland, e anche canzoni appartenenti alla mia produzione: che in questa veste assumono un profilo molto più intimo e delicato. Poi c'è Alla fiera dell'Est in ucraino: l'avevamo sperimentata a Bologna ed oltre ad avere senso politico, è piaciuta, per cui l'abbiamo conservata nella scaletta».

Perche il duo? Mera economia?
«Negli anni mi sono dedicato alla musica sacra con otto capitoli del progetto Futuro Antico e anche in questa veste abbracciamo una magia speciale, un'atmosfera eterea, molto aiutata anche dai luoghi. In questo modo le esecuzioni di miei brani di successo, saranno più melodici e meno ritmici: la produzione è curatissima e al pubblico si vuole offrire anche un volto diverso. Ho scoperto io stesso il piacere di suonare in questa chiave».

In questi due anni di stop ha lavorato, scritto, riposato...?
«Innanzitutto si sono bloccati il progetto e la promozione legati al mio ultimo album, Il cammino dell'anima: rinviate decine di date già sold out in prevendita, che poi lentamente abbiamo recuperato. Ma soprattutto io sono caduto in uno stato di depressione brutta, e per un anno non ho suonato, non ho ascoltato nemmeno una nota: una condizione non così infrequente tra gli artisti, che ad un certo punto sprofondano nel buio. Per fortuna ne sono uscito, mi è tornata la voglia di viaggiare e suonare in concerto: certo ho dovuto studiare, riprendere il tempo perduto. Solo non ho ritrovato il desiderio di scrivere canzoni: lì la vena si è inaridita, ne ho un paio da parte, penseremo poi a cosa farne».

È da poco arrivato in libreria con l'autobiografia «Confessioni di un malandrino», per Baldini+Castoldi: vi si ricorda anche il tribolato inizio.
«Eravamo a inizio degli anni Settanta, io incisi un album intero che però venne rigettato dalla casa discografica, nonostante contenesse già brani destinati poi ad avere successo, Confessioni di un malandrino».

Che non piacquero alla Rca.
«No, non erano convinti delle mie canzoni e potei registrare il mio debutto solo grazie al marchio di garanzia di Paul Buckmaster, che accettò di produrre e arrangiare il disco. Ennio Melis, peraltro un grande professionista e talent scout, uno che si è inventato un'intera generazione di cantautori, quando ascoltava alcune mie cose si metteva a ridere. Però ce l'ho fatta lo stesso».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA