Claudio Baglioni al teatro San Carlo di Napoli: «La mia festa di compleanno e di fine tour»

Claudio Baglioni al teatro San Carlo di Napoli: «La mia festa di compleanno e di fine tour»
di Federico Vacalebre
Lunedì 7 Marzo 2022, 10:00 - Ultimo agg. 15:19
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La prima volta di Claudio Baglioni al San Carlo risale all'8 dicembre 2001. La seconda fu un concerto di beneficenza il 9 dicembre 2019. La terza è in programma il 16 maggio 2022, da mercoledì verranno messi in vendita i biglietti. Ventuno anni fa andarono esauriti in poche ore, con qualche centinaio di persone che dormì fuori il teatro per essere sicura di presentarsi ad apertura dei botteghini. 

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Una data importante, Claudio, anche dal punto di vista numerologico.
«È vero, è accidentale ma il mio concerto nel teatro lirico più antico del mondo capita nel giorno del mio settantunesimo compleanno ed è il settantunesimo, e ultimo, di Dodici note solo, il tour con cui ho debuttato il 24 gennaio».

Solo al pianoforte, proprio come in quell'«InCanto tour», che pure finì a Napoli dopo una sessantina di show.
«Si dice che chi ben comincia è a metà dell'opera, ma chi finisce al San Carlo se la gode alla grande.

Sarà il coronamento di un lungo percorso, del mio ritorno sulle scene, dopo la clausura per pandemia: me lo sono goduto dai palchi dei teatri di tradizione. Alla fine, il 16 maggio, avrò percorso 18.000 chilometri su e giù per l'Italia. Mi guidava una smania dopo il fermo per Covid».

Che ha fermato anche questo tour.
«È vero, ma ora sto bene, ho già ripreso a cantare e chi c'era dice che sono ancora quello di prima. Questi concerti li ho voluti così, sono tutti debutti: una sera sola e poi via, con la gente che si affaccia da palchi e loggioni per guardarmi come una volta ci affacciavamo sul cortile da balconi e finestre per vedere la vita passare».

La vita che passa tra virus e guerra non è delle migliori.
«È vero, fa impressione dal palco vedere tante persone con la mascherina e pensare al bavaglio all'informazione, a chi protesta. Sembra un flash mob, un'installazione artistica, e invece è realtà, con la valenza simbolica che si porta dietro».

Ci sono canzoni che hanno acquistato nuovo senso in questo giro di concerti?
«Certo, succede spesso, ma in questo caso in maniera più determinante. Penso a Vivi, all'emozione comunque palpabile che accoglie versi come Vivi torneremo/ come aria semplice, vivi./ Vivi torneremo/ come fuoco giovane/ a cuore nudo./ Vivi torneremo/ come acqua umile/ vivi come terra fertile. È un modo di ritrovare la vitalità persa, di riavere voglia di correre, con tutto l'ossigeno possibile».

Poi, con il dramma ucraino, si sarà imposta la «Ninna nanna della guerra» con quei versi su «la gente che se scanna/ per un matto che comanna», sul «re macellaro che/ sa bene che la guerra (ninna nanna, ninna nanna)/ è un gran giro de quattrini/ che prepara le risorse (ninna nanna, ninna nanna)/ pe' li ladri delle borse».
«È pazzesco e doloroso come questi versi, scritti da Trilussa nel 1914, all'inizio della prima guerra mondiale, suonino ancora così attuali. È sconcertante e non depone bene per l'umanità tutta».

Come vive il concerto il pubblico dopo questi mesi, anzi anni, di clausura costretta?
«Forse si chiede che senso ha andare a vedere un saltimbanco che canta, eppure ci va: vengono da me, quando stiamo per iniziare il clima è un po' diffidente, poi si liberano, senza esagerare, cercando una risposta collettiva dopo periodi di solitudine coatta. Strada facendo rompe l'argine, incita al coro baglioniano a boccachiusa, che Verdi mi perdoni per la definizione. I teatri, anche quelli belli e grandi come il San Carlo, permettono un contatto diverso da palasport e stadi: per quello sono ripartito da qui, dopo quest'era del contatto vietato, pericoloso».

L'8 dicembre 2001 fosti il primo artista di musica «leggera» a cui «concessero» il San Carlo per un concerto intero. I teatri lirici hanno imparato la lezione in questi anni?
«Io ringrazio sempre quando mi accolgono, e in questo tour mi è andata di lusso. La canzone popolare forse è genere minore, musica da fanteria si sarebbe detto un tempo pensando alla qualità dell'organizzazione musicale, ma ha una capacità evocativa, di condivisione, che nessun'altra musica ha, alta o bassa che sia».

Nel 2001 la platea napoletana praticamente ti impose di cantare «'O surdato nnammurato». E in scaletta c'era anche la tua «Reginella» reloaded: sorprese veraci in programma?
«In programma no, ma tra Napoli, il San Carlo, la fine del tour e il mio compleanno è improbabile che non ci scappi un qualche omaggio alla canzone classica partenopea, la nostra - nel senso di italiani - massima tradizione».

Amadeus ha portato a casa la riconferma a Sanremo per altri due anni. Premiando la sua scelta di puntare sui suoni nuovi si premia in qualche modo anche un processo che tu avevi iniziato con il tuo secondo Festival, nel 2019, vinto da Mahmood davanti a Ultimo. Ascolti ancora le novità o l'hai fatto solo per l'Ariston?
«Le ascolto con curiosità, purtroppo da addetto ai lavori, e, quindi, con orecchio indagatore che non mi lascia libero di lasciarmi andare all'emozione. Ci sono musicisti giovanissimi bravi e determinati che sanno il fatto loro, come la mia generazione di certo non era alla loro età. Aggiornandomi per Sanremo mi è capitato di intuire che c'era una nuova generazione pronta ad emergere: procediamo ad ondate. I cantautori negli anni 60, la canzone d'autore più impegnata negli anni 70 con il progressive rock, e via così... Ora dovremo aspettare che passi il tempo per capire se questa nuova leva è destinata a lasciare tracce o a essere soppiantata, a sua volta, dopo breve tempo. Mi pare di assistere ad una certa involuzione sonora, il rischio del rap e della trap sia che, non basandosi sulla melodia, possa non essere tramandata, non essere ripresa da futuri interpreti. Ma, di sicuro, la creatività ferve e i discografici contano molto meno di prima: gli artisti sono più liberi e ne sanno approfittare».

Ps. Intanto, venerdì 11, Baglioni suona ad Avellino, teatro Carlo Gesualdo, sold out da tempo.

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