Deep Purple, c'è ancora fumo sull'acqua

Deep Purple, c'è ancora fumo sull'acqua
di Federico Vacalebre
Mercoledì 9 Marzo 2022, 07:33 - Ultimo agg. 17:26
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I miti nascono spesso per caso. Si prenda «Smoke on the water», probabilmente il riff più famoso nella storia del rock: i Deep Purple decisero solo all'ultimo minuto di inserirlo in «Machine head», il loro sesto lp in studio, pubblicato il 25 marzo 1972 e ritenuto da molti (ma non dal sottoscritto) il loro lavoro migliore, di sicuro il più venduto, il più ristampato, il più riverito: dieci anni fa uscì «Re-machined: a tribute to Deep Purple's Machine Head» con Santana, Metallica, Chickenfoot, Steve Vai, Iron Maiden...

Caposaldo dell'hard rock, del suono granitico che affidava le avventure all'onanismo degli assoli senza cercare altro approdo se non nel clangore metallico da cui sarebbero nati decine di sottogeneri rumorosi, «Machine head» nasce a Montreux, in Svizzera.

La band - siamo alla formazione nota come Mark 2: Ian Gillan, voce spaccatimpani e armonica; Ritchie Blackmore, chitarra spaccacuore; Jon Lord, piano spaccatutto, organo e tastiere; Roger Glover, basso spaccanoia; Ian Paice, batteria spaccasilenzio - era in città per registrare l'album nel casinò cittadino quando - è il 4 dicembre 1971 - vide alzarsi dal teatro della struttura una nube di fumo sul lago. Durante uno show di Frank Zappa con le Mothers of Invention un razzo lanciato da uno spettatore aveva causato un incendio che distrusse la sala e la strumentazione del genio di Baltimora. Glover notò i bagliori rossi del tramonto: «Smoke on the water and fire in the sky», fumo sull'acqua e fuoco nel cielo. Il «Funky Claude» del testo che correva su è giù era l'allora direttore del jazz festival di Montreux, Claude Nobs, che aiutò diversi spettatori a salvarsi.

Indisponibile il casinò, affittato lo studio mobile dei Rolling Stones per continuare a lavorare al disco, i Deep Purple si installarono in un teatro abbandonato, il Pavilion, dove, prima di essere cacciati dai vicini per l'eccessivo frastuono, fecero appena in tempo ad abbozzare un pezzo basato su di un giro di chitarra di Ritchie Blackmore, provvisoriamente chiamato «Title no.1». Poi si spostarono in un hotel e completarono quello che sarebbe diventato «Machine head».

Quando l'album fu finito, ricorda Paice, «ci fecero notare che era troppo breve. C'era un pezzo rimasto fuori, When a blind man cries, ma ci ricordammo di quel brano che avevamo fatto al Pavilion. Lo ascoltammo, suonava bene». Mancava il testo, Glover recuperò il taccuino con le sue impressioni «nel momento in cui avevamo visto le fiamme salire dal casinò, e con Blackmore trovò le parole giuste. La corrente che scendeva dalle montagne spingeva il fumo attraverso il lago. Pensai: Perché non scriviamo una canzone sulla realizzazione del disco? Ed è così che è stato completata Smoke on the water, ed è così che è finita nel disco. Altrimenti sarebbe andata persa».

È il riff di Blackmore («così semplice ed efficace che non capivamo come non lo avessero fatto altri prima di noi») a far entrare l'lp nella storia, ma il pezzo non viene scelto come singolo, preferendogli «Never before», mentre le recensioni puntano più su «Highway star», «Never before» con le sue venature blues, «Lazy» con Gillan all'armonica a bocca, «Pictures of home» con spazio per le digressioni solistiche di tutti, «Space truckin'» che dal vivo non durerà mai meno di un quarto d'ora prigioniera dei duelli da virtuosi tra Blackmore e Lord. Meno duro e spietato di «In rock», meno vario e aperto di «Fireball», riascoltato oggi «Machine head» ha la clamorosa potenza di un successo mainstream rock di quegli anni. Definisce i contorni dell'hard abbozzati l'anno precedente e confermati nel dicembre di quello stesso 1972 da un live definitivo come il doppio «Made in Japan» dove «Smoke on the water» apre la facciata b del primo lp e dura 7 minuti e mezzo.

Ps. Scusate per la pubblicazione combinata delle foto dei Deep Purple Mark 2 e Mark 8 (Ian Gillan, Steve Morse alla chitarra, Roger Glover, Ian Paice, Don Airey alle tastiere). Dal 1972 di «Machine head» al 2020 dell'inutile «Whoosh!» e al 2021 delle cover di «Turning to crime» sono passate ere geologiche. Ma il fumo si alza ancora sull'acqua e il fuoco nel cielo. Di Montreux e di tutto il resto del mondo, dove reduci e giovanotti retromodernisti imbracciano una Stratocaster o giocano all'«air guitar» imitando il riff più famoso di tutti i tempi. Che non doveva finire nemmeno su disco.
 

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