Morto Battiato: «Esoterismo e barzellette l'altra faccia di Franco»

Morto Battiato: «Esoterismo e barzellette l'altra faccia di Franco»
di Andrea Spinelli
Mercoledì 19 Maggio 2021, 08:47 - Ultimo agg. 17:51
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Un musicista di grandissima personalità e un certo sarcasmo. Cinquantaquattro anni dopo il loro primo incontro, Caterina Caselli ricorda così Franco Battiato: «Ci siamo sentiti per l'ultima volta tre-quattro anni fa», racconta. «Ero in campagna con i miei nipoti Alessandro e Nicola che cantavano una sua canzone, così d'impulso l'ho chiamato per raccontargli la cosa. Ma negli ultimi tempi ho chiesto informazioni sulle sue condizioni soprattutto con il fratello Michele e al manager Francesco Cattini perché non volevo apparire indiscreta». Se nel cuore della gente Battiato rimarrà l'asceta alla ricerca della sua «alba dentro all'imbrunire», quello per cui «niente è come sembra, niente è come appare, perché niente è reale», in quello di chi gli è stato vicino i contorni si sfumano e il ricordo s'intenerisce. Caterina, al tempo di «Flowers» che impressione le fece sentirsi omaggiare da Battiato con una rilettura di «Insieme a te non ci sto più». «Franco prendeva dall'arte e dalla letteratura quel che gli piaceva per poi condividerlo; amava le belle canzoni e non si faceva problemi su chi ne fosse l'autore: in quel caso Paolo Conte e Vito Pallavicini. Ad essere sinceri, fatto non troppo comune in un paese come il nostro dove, almeno fino a qualche tempo fa, era piuttosto difficile sentire un cantautore omaggiarne altri».


C'è un Battiato privato che conoscono solo gli amici?
«Ci si divertiva molto con lui.

Oltre alla passione per le barzellette, Franco aveva una leggerezza straordinaria, che lo rendeva capace di cogliere e sottolineare aspetti curiosi, bizzarri, divertenti anche parlando dei personaggi che popolano questo nostro mondo dell'arte».


Era un mistico convinto.
«Subiva molto il fascino dal mondo esoterico. Alcune passioni le abbiamo pure condivise, come quella per il filosofo-scrittore armeno Georges Gurdjieff, ad esempio, a cui mi introdusse prestandomi il libro Incontri con uomini straordinari».


Vi eravate conosciuti nel 1967 in televisione.
«Io e Giorgio Gaber conducevamo una trasmissione, Diamoci del tu. All'ottava puntata gli dissi: Scusa Giorgio, ho un artista che ha un solo difetto: non è popolare. Si chiama Francesco Guccini, ma ti assicuro che è un contemporaneo di Bob Dylan. E lui: Ne ho uno pure io. Ah, e come si chiama? Franco Battiato. Gaber, che lo conosceva già da tempo, ne era entusiasta. Si presentò in giacca, maglioncino e occhiali da sole, cantò La torre: mi colpì. Io avevo 20 anni, lui 22. Ma l'amicizia nacque più tardi».


Come si erano conosciuti?
«Al Club 64, un cabaret di Milano. Pure io avevo lavorato in un locale simile, l'Intras Club, dove si esibivano pure I Gufi ed Enrico Intra. L'amicizia fra loro era cresciuta grazie anche ad Ombretta Colli, che Battiato aveva accompagnato in alcuni spettacoli (e che avrebbe ritrovato in più occasioni fra cui il film tv Una donna tutta sbagliata di Mauro Severino - ndr)».


Non avete mai lavorato assieme.
«All'inizio degli anni Ottanta ci siamo trovati a collaborare, anche se incidentalmente. Accadde grazie a Giuni Russo, quando come Cgd pubblicammo l'album Energie, di cui Franco era autore e produttore. Un'esperienza positiva proseguita poi dal singolo Un'estate al mare e da un altro lp, Vox, che considero ancora oggi di grande valore, tanto per quel che concerne la scrittura che l'interpretazione».


Anche nella musica Battiato ha sempre cercato la sua «alba dentro l'imbrunire»?
«Era sempre alla ricerca di quella che Morricone chiamava musica assoluta. Per Franco, infatti, il bisogno di andare oltre valeva tanto nel campo dello spirito che in quello dell'arte».


Come aveva preso il grande successo popolare?
«Con l'autoironia di sempre. Bandiera bianca, Cuccurucucù e Centro di gravità permanente facevano il verso ai tormentoni, ma senza cattiveria alcuna. Quei motivetti infarciti di citazioni coltissime si prendevano gioco dell'eccessiva semplicità delle hit, ma con grande maestria: era tutto un gioco di ironia».


Dunque non era sempre così serio, Battiato? Così spirituale?
«Era divertentissimo parlare con lui: spesso gli argomenti erano altissimi, ma non ci si annoiava mai, affrontava tutto con grande sarcasmo. E non è vero, come dicono molti, che odiava la musica leggerissima, per dirla con Colapesce-Dimartino: nelle canzoni italiane cercava raffinatezza, eleganza».

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