Mahmood al Mattino: «Importa dove vai, non da dove vieni»

Mahmood al Mattino: «Importa dove vai, non da dove vieni»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 27 Febbraio 2019, 08:29 - Ultimo agg. 09:44
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Ha 26 anni, ma le idee chiare Mahmood, che all'anagrafe si chiama Alessandro Mahmoud e si è scelto un nome d'arte che suona simile al suo cognome, ma anche a «my mood». E, nel suo mood, spiega: «È molto più importante sapere dove stai andando piuttosto che da dove vieni».
 


Già, perché all'indomani del trionfo sanremese in un Festival che doveva essere autarchico e sancire il «prima gli italiani» anche in canzone, ti sei trovato a dover mostrare il passaporto, cantare davanti alla bandiera tricolore, ricordare sommessamente di essere «un italiano vero» almeno quanto Toto Cutugno.
«Sembra necessario, in questi tempi come mai, essere questo e non quello, definire un'identità in purezza. Ma io sono questo: un ragazzo di 26 anni, nato a Gratosoglio, periferia Sud di Milano, da madre sarda, di cui condivido il dialetto, e padre egiziano, che se n'è andato quando ero un bimbo. Ma non per questo nelle mie canzoni devo mettere per forza Milano (che pure c'è), la Sardegna, o l'Egitto e la cultura araba (che pure c'è, tanto che parlo di Marocco pop). E anche le mie canzoni, come me, sono tante cose: sono ritmo, sono elettronica, sono ballad, sono pianoforte, sono storie sincere e intime, sono racconti d'amore, sono rap, sono trap...».

«Generazione bruciata» è il titolo del tuo primo album, oltre che del pezzo che ti ha permesso di passare da «Sanremo giovani» alla gara dei big, poi vinta.
«Titolo e copertina del disco sono un omaggio a James Dean, senza voler definire la mia o altre come generazioni bruciate, anche se spesso lambiamo la fiamma, volenti o nolenti».

«Uramaki» parla di una generazione che si scambia messaggi porno anche prima di dirsi buongiorno. In «Remo» «abbraccio» gioca all'assonanza con «parolaccia», in «Milan good vibes» qualcuno «confonde l'aspirina con la felicità». Le tue canzoni danno l'idea di essere delle storie molto personali, intime, crude.
«Racconto flash vissuti, visti, schegge di vita mia e di chi mi è vicino, ma non tutto è autobiografia, non esiste la Coca Cola lasciata sul tavolino di un bar di Napoli di cui canto in Sabbie mobili, quella è un'immagine».
 
Ma ci sono parole pietre come quando dici che la tua «faccia da schiaffi» è data dai tuoi «tratti orientali», o che hai una sorella e un fratello dall'altra parte del mondo, ma forse non sa nemmeno di te.
«Anche quella è un'immagine, sia pur veritiera. La mia famiglia è quella che ho costruito, quella che mi ha amato, gli amici che hanno creduto in me e che ora capiscono se non ci vediamo ogni sera in studio o al baretto di quartiere».

Da qualche parte nel disco c'è tua madre che non sopporta i tuoi nuovi amici e il tuo nuovo sound.
«A lei devo tanto, anche la pazienza che ha avuto nel sopportarmi».

Oggi che sei primo con «Soldi» in qualsiasi classifica si riscoprono vecchi video, come una tua personale versione digitale di «The sound of silence», per dire che... sì «il ragazzo» è serio, sa fare anche cose di spessore.
«Era una canzone scoperta grazie a mia madre, è bello mettere mano su tesori del genere, rispettandoli però».

Si sarebbe pensato che ascoltassi cose più «urban», a partire da Frank Ocean.
«Lo amo, ma tra le mie preferenze ci sono anche Lucio Dalla, Paolo Conte, i Coma Cose, anche qui, vedi, ho gusti diversi».

Oggi Mogol, da presidente Siae, si è detto d'accordo con la proposta leghista di quote per la canzone italiana in radio.
«Io proporrei quote di musica in radio: si sentono troppe parole, anche inutili».

Com'è nata «Soldi»?
«Ho scritto parole e musica, l'ho prodotta con Dario Faini, alias Stardust, di cui è anche l'idea vincente del battito di mani del ritornello, poi Charlie Charles ci ha aggiunto alcuni dei suoi suoni».

Pensavi di poter vincere Sanremo?
«Sembrerà la solita retorica, ma mi sembrava di aver già vinto arrivando al Festival. Ho voluto il successo, l'ho inseguito, ho scritto canzoni per Mengoni, Elodie, Bravi. Ho faticato, ho sofferto, ho sperato, mi sono sentito deluso e solo ma... mai avrei creduto che una canzone sola mi potesse cambiare la vita».

E ora?
«Tanti concerti».

Come saranno?
«È ancora un segreto».

Ma i soldi davvero non danno la felicità, come dice la canzone? Non sarà un'ipocrisia?
«Senza i soldi per pagare gli studi di pianoforte forse non sarei qui.
Ma non è detto che con i soldi che sto guadagnando andrà molto meglio».

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