Amedeo Minghi a Napoli: «Io, Mozart e Mietta: canzoni che restano»

Lunedì concerto al teatro Diana

Amedeo Minghi
Amedeo Minghi
di Andrea Spinelli
Sabato 20 Aprile 2024, 16:00
4 Minuti di Lettura

«La radio trasmetterà la canzone/ che ho pensato per te...». Le fascinazioni di Serenella e la forza della memoria di un brano che continua a definire Amedeo Minghi sul panorama della musica italiana. In concerto dopodomani, lunedì, al Diana con «40 anni da 1950», il cantautore romano, 76 anni, torna a Napoli per celebrare il suo motivo più popolare e amato - il più cantato no, è un altro - affiancato da Luca Perroni al pianoforte, Giandomenico Anellino alla chitarra, Alessandro Mazza al basso e Stefano Marazzi alla batteria oltre che da un sestetto d’archi. Ai cori Rosy Messina e Giordano Spadafora.

Con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto sul futuro: al Diana offrirà anche anticipazioni del suo prossimo album?
«Sì, ad un certo punto della scaletta aprirò una finestra su quello che sarà “Anima sbiadita”, in uscita ad ottobre, offrendo così alla gente un primo assaggio del nostro comune futuro eseguendo “Navi o marinai”, uscito tre anni fa, il nuovo singolo “Non c’è vento stasera”, o gli inediti “L’ineluttabilità” e “L’importante è lei (maledetta)” dedicato alla drammatica realtà della guerra».

Tanto la canzone più cantata sarà, come sempre, «Vattene amore».
«Quando una canzone incontra un successo tanto clamoroso, basta pensare che l’anno scorso, dopo 33 anni, ha incassato l’ennesimo disco d’oro, vuol dire che s’è storicizzata.

E davanti ad una scelta così definitiva da parte del pubblico sovrano non puoi che prenderne atto. Fra l’altro, al di la della percezione generale, la considero una canzone di contenuti».

Quali?
«A parte la citazione mozartiana “non più andrai” («Non più andrai farfallone amoroso», da «Le nozze di Figaro», ndr), se letto sul serio il testo ha un suo pensiero filosofico. C’è da dire, però, che ormai appartiene più al pubblico che a me. E per questo, di solito, la relego nel bis lasciando liberi tutti di cantarla».

C’è chi ironizza chiamandola Wolfgang Amadeus Minghi.
«In fondo lo reputo un attestato di stima. Pure Baudo m’ha sempre chiamato maestro, anche se non lo sono».

Beh, la sua «Profumo del tempo» per Pippo è stata la canzone galeotta dell’amore con Katia Ricciarelli, visto che nel 1985 si conobbero a Sanremo grazie proprio a quel pezzo.
«Chissà, magari oggi preferirebbero “Maledetta primavera”». 

Ma davvero lei è un pucciniano?
«Assolutamente. Reputo Giacomo Puccini il più grande cantautore italiano. Questo perché, dopo aver scritto a Torre del Lago le sue straordinarie melodie, chiamava il tenore o il soprano di turno per spiegargli come cantarle».

In che rapporti sta con Mietta?
«Ottimi. Daniela è venuta pure ad alcune tappe di questo tour. È sempre stata bella, ma adesso è bellissima. Come metteva piede in scena scatenava ovazioni maschili fantastiche. E poi c’è quella voce, ferma, potente».

Sodalizio fortunato, il vostro.
«Nel 1989 con la mia “Canzoni” stravinse Sanremo collezionando primo posto e premio della critica. L’album vendette mezzo milione di copie. Poi, l’anno dopo, con “Vattene amore” tutti sanno com’è andata».

Le hanno mai chiesto di raccogliere le sue canzoni in un musical?
«Sì, è accaduto. Tra le centinaia di canzoni che ho scritto, infatti, ce ne sono almeno una ventina che potrebbero raccordarsi per dare vita ad una storia compiuta. Non è escluso, quindi, che ciò accada. Ma occorre un produttore che creda nell’impresa per davvero, perché io il mio placet ad uno spettacolino non lo do di sicuro».

Morricone, Bacalov, Chiocchio, Panella, Mogol sono tutti i grandi artisti con cui ha avuto modo di collaborare. Ce n’è uno che le è rimasto dentro in modo particolare?
«Gaio Chiocchio, senza se e senza ma. La sua è stata grande poesia ed emozione purissima».

© RIPRODUZIONE RISERVATA