«Urca!», quanto sono bravi questi cantautori veterani

«Urca!», quanto sono bravi questi cantautori veterani
di Federico Vacalebre
Venerdì 25 Dicembre 2020, 14:09 - Ultimo agg. 16:09
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Alcuni degli artisti coinvolti in «Urca!» - e spinti a collaborare tra di loro da Michele Signore - sono in circolazione da più di trent'anni. Almeno un paio sono arrivati ad un passo dal successo e tutti in città li conosciamo bene per averli visti in festival e/o piccoli club in cui la canzone veniva trattata con amore, non come fast pop usa e getta, mangia ed evacua. Non è un caso, allora che l'etichetta di questo cd inatteso, forse fuori tempo massimo, sia la Polosud di Ninni Pascale, che solo per scelta ormai praticata da lungo tempo si trova dall'altra parte del banco di registrazione, né che le note del cd siano firmate da Gianni Cesarini, maestro di un paio di generazioni di giornalisti musicali napoletani (compreso chi scrive), per apertura mentale, per capacità di non farsi imprigionare nelle gabbie dei generi.
«Urca!», dice il titolo, quasi per suggerirci sorpresa per la qualità dei brani contenuti, tutti creati per l'occasione, forse anche per la capacità di fare musica insieme, di dedicarsi l'uno/a all'altro/a. «Cantautori e cantautrici»: il sottotitolo reclama l'attenzione all'altra metà della canzone d'autore, che qui, ad essere sinceri, brilla più di quella maschile. A partire dal canto libero ed ormai nostalgico di Gabriella Pascale, che in «Vorrei» continua la collaborazione con Ettore Sciarra che ci riporta agli anni della Vesuwave e dei Walhalla. Anni in cui Gabriella Rinaldi (e Max Carola) con gli Zooming Zoo azzardarono un'ipotesi di pop forse in anticipo sui tempi, come conferma la godibilità semplice ma non semplicistica di «Lupe». Da un'altra stagione, invece, arriva Antonella Monetti, che guarda agli anni Sessanta di Mina su testo di Valeria Parrella, complice preziosa per il cesello di un brano che meriterebbe il successo mainstream anche se non è trap, indie, edm o qualsiasi altra definizione giovanil-giovanilista del momento. Scelgono il dialetto, tra suoni più o meno rinnovati, Giovanna Panza («Addore e primmavera») e una veracissima Myriam Lattanzio («Meglio e na canzone»).
E veniamo al contingente maschile: Andreasbanda (ovvero Andrea Campese) con «Uno si sveglia» conferma l'antica ricerca per una formula obliqua, nobile nel racconto come nel vestito scelto; Massimo Mollo, già con gli Zezi, non fa un passo indietro nella militanza comunista con «Pezza rossa» (e il colore dice tutto, come quello del vino che ci invita a bere) scritta dopo una nottata avvinazzata di chiacchiere e sogni con il poeta balcanico Izet Sarajlic; Ciro Mattei (cercare alla voce Frigo, sempre a proposito di Vesuwave) oggi si fa chiamare Peppesmith ma conferma la tendenza mittelmediterranea dell'album e il predominio dei plettri sul fronte delle sonorità (e se dicessi che manca solo Gino Evangelista?); Ugo Gangheri ritorna sulla strada della ballata verace con «Adduormame», Antonio Del Gaudio sceglie quella del talkin' per immaginarsi/ci «Prima di morire», Marco Francini - appena visto a «The voice of Italy senior» - con «Proteggi la tua terra» dimostra di aver fatta propria la lezione dell'amato Modugno.
Che dire? Una ripassata, uno sguardo inatteso in questi tempi, di un paio di ondate cantautorali che non meritano l'oblio, a partire da Michele Contegno, che non c'è più, ma la sua «Al Sud del Sud dei santi» resiste ancora bene, nonostante tutto, al logorio dei tempi moderni.
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