Pino Mauro in concerto al Trianon: «I rapper? Sono miei nipoti, cantiamo la strada»

Il cantante a 84 anni è l'ultimo leone di CantaNapoli

Pino Mauro
Pino Mauro
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Sabato 6 Aprile 2024, 08:30 - Ultimo agg. 7 Aprile, 09:31
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Giuseppe Mauriello da Villaricca, 84 anni, veste di bianco candido, ma poi, ricorda, anzi reclama: «Le mie sono canzoni di strada, la stessa strada dove sono cresciuto e non ho paura di sporcarmi». Pino Mauro, è così che lo conoscono i fan da decenni, è l’ultimo leone di cantaNapoli, piccolo mondo antico sempre più vicino all’estinzione. Il Trianon lo attende stasera, alle 21, per una «Nuttata ‘e sentimento», titolo rubato a una perla di inizio Novecento firmata Cassese-Capolongo. La star della sceneggiata, il maestro della canzone di giacca, lo chansonnier verace di «Nun t’aggia perdere», ha messo in piedi con Gigi De Luca un viaggio nella sua carriera, nella sua vita, nella melodia partenopea. Il regista Carlo Luglio, dopo averlo riportato al cinema, lo mette al centro di un ring, circondato dai suoi musicisti, un po’ come avevano fatto i Manetti bros riprendendolo su di un trono fiammeggiante in piazza del Plebiscito in «Ammore e malavita». 

 


Sempre al centro della scena, Pino.
«Ancora al centro della scena, ancora per un po’.

E al centro di un viaggio di qualità, tra i classici napoletani e i brani della mia produzione, tra i versi di Bovio e Di Giacomo, di Viviani e Carosone, sino a Dalla e Pino Daniele. Accompagnato da un’artista poliedrica come Rosa Miranda».

Sei l’ultimo testimone di una stagione.
«Certo, sono l’ultimo vivente ad aver partecipato alle Audizioni di Piedigrotta, l’ultimo a poter raccontare di incontri con poeti, musicisti, maestri di altri tempi».

Eppure le tue canzoni sono passate di generazione in generazione.
«I rapper, i trapper si sentono miei nipoti. Non certo per la voce, il ritmo, la melodia, ma perché ho sempre cantato canzoni di strada: la mia strada è diversa dalla loro, ma come la loro, è vista male dai benpensanti. Nel 2007 ho collaborato con i Co’Sang, da allora tanti ragazzi si sono misurati con i miei pezzi. “’O motoscafo” non parlava di malavita, ma di contrabbandieri di Santa Lucia, ragazzi che cercavano di portare il pane a casa, uccisi in mare. Certo, evadevano le tasse, facevano un commercio illegale, ma in una Napoli senza lavoro si procuravano da campare, e facevano campare, senza spacciare, senza rubare. Non so se oggi vada meglio, senza sigarette di contrabbando, ma con le città invasa dalla droga e dalla violenza».

Diranno che sei un nostalgico, un guappo nostalgico.
«Alla mia età puoi essere nostalgico di tante cose, ma non è questo il caso. Sono un artista istintivo, autodidatta, le cose che canto le porto ‘ncuorpo. Ho inciso canzoni di giacca, poesie romantiche, liriche carnali. Ho rispettato sulle tavole del palcoscenico la trinità laica della sceneggiata: isso, essa e ‘o malamente. Sono figlio di un’altra cultura, magari non serve rimpiangerla, ma nemmeno condannarla oggi che non esiste più».

«‘A sfida» era un’instant-song ispirata a Toni Iglio dallo scontro – a colpi di pistola, ma trasformato nella canzone in duello «curtiello pe’ curtiello» – tra Michele Spavone, ‘o Malommo, e Gennaro Ferrigno, che ebbe la peggio.
«Fu un successo, come la sceneggiata che ne traemmo. Era la storia di due delinquenti, certo, ma soprattutto di due uomini d’onore in lotta per la stessa donna».

Quel concetto di onore è da tempo sotto accusa.
«Lo capisco, ma anche nelle canzoni di Bovio e Di Giacomo c’erano i morti. Don Liberato diceva che “nella canzone c’adda sta’ nu fatto dinto”, ed i fatti erano omicidi, corna, sgarri... È come nei film: Al Pacino non diventa un gangster perché interpreta un gangster, chi canta un latitante non diventa per questo un criminale».

I rapper sono tuoi nipotini, dici. E i neomelodici?
«No, loro no. Storie d’amore troppo finte, senza passioni vere. Io ho cantato l’amore, ma spesso tossico».

«Ammore amaro», per dirla con un tuo titolo.
«Sì, sono della scuola di Francesco Fiore, il divo delle canzoni di giacca. E resto un figlio della strada».

Che viene da Villaricca, come Sergio Bruni, «’a voce ‘e Napule». Che ha incontrato Tom Jones, Frank Sinatra, Carmelo Bene. Che Carmine Coppola voleva per «Il padrino II» di suo figlio Francis. Che ha rivaleggiato con Mario Merola per il titolo di re della sceneggiata. Che per problemi con la giustizia, poi superati, non è riuscito a lavorare con Roberto De Simone che lo voleva in «L’opera buffa del giovedì santo».
«Sono pagine andate, oggi mi resta ancora una “Nuttata ‘e sentimento” da dividere con chi ha voglia di ascoltarmi». 

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