Festival di Sanremo, la finale sfida di generazioni

Festival di Sanremo, la finale sfida di generazioni
di Federico Vacalebre
Sabato 9 Febbraio 2019, 06:59 - Ultimo agg. 14:34
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Podio o non podio, premio della critica o non premio della critica, lo spirito, il senso (ammesso ci sia) di questo Sanremo 2019 sta nella canzone di Daniele Silvestri, «Argento vivo», che catapulta il Festival ringiovanito sul fronte dei concorrenti nell'Italia paese per vecchi, nell'Italia che non è un paese per giovani: «Se c'è un reato commesso la fuori/ è stato quello di nascere», la conclusione spietata di questo viaggio al termine dell'adolescenza in cui il cantatore romano si è fatto accompagnare dal rapper Rancore e, ieri sera, nella serata delle autocover, anche da Manuel Agnelli, per una versione che aggiunge al rap anche il profumo di progressive.
 
L'intera filosofia, se si può usare questa parola, festivaliera ha giocato sul conflitto generazionale: da un lato la rottamazione dei concorrenti veterani, dall'altra numeri di varietà e sketch più che nostalgici (il Quartetto Cetra, la famiglia Addams, Lelio Luttazzi, il grammofono). Se stasera la sfida finale sarà tra gli under 30 Irama e Ultimo, ma anche, più distaccati, i tre de Il Volo, e il quarantaduenne Simone Cristicchi, il cinquantenne Daniele Silvestri, la sessantottenne Loredana Bertè, ieri Sanremo ha azzardato la messinscena della guerra dei due mondi, con un faccia a faccia tra Claudio Bisio e Anastasio. Al monologo del primo sul frustrantissimo mestiere del padre, il ventunenne rapper di Meta di Sorrento vincitore dell'ultima edizione di «X Factor» ha risposto con uno dei suoi «conscious» rap, vomitando parole di fiele, facendo da voce di dentro a ribelli senza pausa né causa: «Voglio i miei ventanni, voglio delle scuse ed il rimborso danni». Marco scatena un flow feroce, impietoso almeno quanto quello che Rancore ha messo al servizio di Silvestri, quasi ne fosse il sequel: «Prova a riflettere che vuoi che dica se vedo soltanto sorrisi incollati su facce depresse e promesse firmate a matita? Bella vita, la prendo per come mi arriva, che tanto domani è finita... Vecchi come state? Vi state godendo la festa? Io non so mica, mi manca il respiro ed a tratti gira la testa... Ora capisci perché stiamo fissi a giocare agli artisti ed a fotografare. Ci vogliamo affermare ma sbattiamo nel muro, siamo chiunque e non siamo nessuno. Io sono sicuro soltanto del fatto che sono insicuro. Passo giornate a aggiornare una pagina, solo a vedere chi mi ama e chi no. Bruciano gli occhi, lo schermo mi lacera. Guardo la vita attraverso un oblò. Tuo figlio idolatra un idiota che parla di droga e di vita di strada». Violento, sino a gelare l'Ariston e i telespettatori, soprattutto quelli che in quella disfida genitori-figli ci trovano non un trattato sociologico, ma la propria sanguinolenta quotidianità.

Insomma, vincerà un giovanotto o un vecchietto? Ci sarà spazio per la generazione di mezzo? Rottamazione o conservazione? A stasera l'ardua risposta. Ieri, ha tenuto banco il trionfo personale di Ligabue (con la «Dio è morto» divisa con Baglioni omaggio a Guccini, prima di ora entrato all'Ariston solo per il Premio Tenco), mentre la manche delle autocover ha dato una mano a qualcuno e penalizzato le chanche di vittoria di altri. Federica Carta e Shade hanno giocato la carta buffa di Cristina D'Avena, Motta quella più corposa di Nada (e a loro va il premio per il miglior duetto), Irama ha chiesto un piccolo grande aiuto a Noemi, Patty Pravo e Briga hanno arruolato Caccamo, i Negrita Ruggeri e Roy Paci, Il Volo il violino di Alessandro Quarta, Arisa (che pure un pensierino ad una seconda vittoria lo sta facendo) l'ex Spandau Ballett Tony Hadley e i Kataklò, Mahmood Guè Pequeno, Ghemon Diodato e i Calibro 35 (una delle esibizioni migliori), Renga Bungaro e la Abbagnato. Ultimo ha giocato la carta vincente di Fabrizio Moro, Cristicchi ha risposto con Ermal Meta. Nek si è fatto raggiungere da Neri Marcorè, i BoomDaBash da Rocco Hunt, gli Zen Circus da Brunori Sas (ottima prova), la Turci da Beppe Fiorello, la Tatangelo da Syria, gli Ex Otago da Jack Savoretti, Nigiotti da Paolo Jannacci e Massimo Ottoni, la Bertè si è guardata in uno specchio chiamato Irene Grandi, Einar è rimasto una presenza inutile anche con Biondo e Sylvestre, D'Angelo e Cori sono andati alle radici dell'hip hop italiano con i Sottotono, Achille Lauro ha fatto più rock'n'roll il suo rock-trap con Morgan, mentre Salvini, ormaI recensore musicale a tempo quasi pieno (ha promosso Cocciante, Ultimo e Baglioni, ma voleva più «cantautori italiani), condannava lui, la sua canzone e la smentita allusione all'Mdma.

Una maratona sfiancante, nonostante qualche numero di qualità. E stasera il finalone non sarà meno kolossal, almeno per durata e senso d'oppressione. Poi Baglioni, la De Santis, Salini e il cavallo di viale Mazzini decideranno se ci sarà un Baglioni ter, magari con iniezioni rinvigorenti in stile gialloverdesovranistanovax. Gli ascolti della terza serata (9.409.000 con uno share del 46,7%) dicono che si potrebbe fare, ma anche no (nelle ultime cinque edizioni è andata meglio). E l'ad ha un'idea: «La Rai deve riappropriarsi del Festival».

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