Sanremo, la rivoluzione dei Maneskin:
«Rock e fuori di testa per il successo»

Sanremo, la rivoluzione dei Maneskin: «Rock e fuori di testa per il successo»
di Federico Vacalebre
Lunedì 8 Marzo 2021, 08:38 - Ultimo agg. 13:55
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Sanremo


Settant'anni dopo «Grazie dei fiori», i fiori sono per una rockband in calzamaglia trasparente: Damiano David (22) anni, il cantante sex symbol che fa impazzire teenager e milf; Victoria De Angelis (20), la bassista che ha appena posato a seno nudo per una copertina: Thomas Raggi (20), chitarrista; il batterista Ethan Torchio (20).

I Maneskin sono dei rocker fuori tempo, perdipiù usciti fuori da «X Factor 2017», dove arrivarono secondi. Vincono il Sanremo 2011 soprattutto grazie al (tele)voto popolare, nell'edizione che doveva incoronare la generazione indie, l'autotune, la trap, il post-rap. E, invece, impongono con «Zitti e buoni» un rock ancien regime, energico, cazzuto, poco originale, certo, ma sempre meglio di gran parte delle cose ascoltate in questa settimana di passione canoro-sanitaria.

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Allora ragazzi, vi ha pesato non poter festeggiare e far casino sabato notte, causa protocollo antipandemia?
Damiano: «Siamo stati tra noi, più rock che roll. E, poi, avevano finito tardi e dovevamo riprendere presto in mattinata. Abbiamo fatto i responsabili, oddio quasi».
Vittoria: «Avremo tempo per recuperare».


Vasco Rossi tifava per voi. Prima ha pubblicato la vostra canzone segnalando che eravate i suoi preferiti, poi ha festeggiato per la vittoria.
Damiano: «Una benedizione preziosa come la vittoria: se si pensa che lui all'Ariston ha collezionato ultimi posti con Vado al massimo e Vita spericolata si capisce come la nostra vittoria sia più grande di noi e della nostra canzone.

Anche Pelù, Drigo dei Negrita e Ruggeri hanno festeggiato la nostra affermazione».


Enrico nel 93 aveva vinto con un rock, «Mistero». Con Manuel Agnelli avete riletto «Amandoti».
Vittoria: «Che bello fare i Cccp con lui. A qualche purista non è piaciuto il nostro trattamento. Amen».


Ha vinto il rock, il suono delle chitarra contro quello dell'elettronica. Non sarà fuori tempo massimo?
Vittoria: «No, nella nostra trasferta londinese abbiamo vissuto la scena delle nuove band, chitarra è bello ancora, la distorsione è sempre figa».

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Ma il rock era trasgressione, controcultura, voglia di rivoluzione.
Damiano: «E quella che abbiamo fatto è una piccola rivoluzione, ha vinto una band di ragazzacci con una canzone da ragazzacci, invece che la solita melodia d'amore. Noi siamo stati noi stessi sul palco, la canzone ha quattro anni ma ha preso corpo nell'ultimo anno, una frase come siamo fuori di testa, ma diversi da loro rappresenta tanti ragazzi italiani, non ci sono solo i bamboccioni e gli schiavi dei social. Poi, però, bisogna anche fare la tara di una certa mitologia ormai evaporata: la trinità sesso, droga e rock and roll è andata, ha creato capolavori pagati a caro prezzo. Quello stereotipo è superato, come certo machismo rockettaro, noi siamo più disciplinati, non troppo però: vogliamo avere una carriera lunga».


A proposito: andate all'«Eurovision song contest»?
Vittoria: «Assolutamente sì, non vediamo l'ora».


Tradurrete in inglese il vostro testo?
Damiano: «No, rappresenteremo l'Italia con il rock in italiano».


Anche i rocker piangono: vi siete emozionati al momento della proclamazione.
Damiano: «Non siamo degli automi, siamo esseri umani come gli altri, che provano emozioni. Quelle sul palco erano lacrime di gioia: in quel momento ci siamo resi conto che avevamo fatto qualcosa di importante».


Magari anche vendicandosi di «X Factor»?
Damiano: «Quella è una cosa superata dal giorno dopo. E il percorso compiuto in questi quattro anni ci ha soddisfatti».


Speravate nella vittoria?
Damiano: «Credevamo di essere la cosa più antisanremese possibile, ci siamo sbagliati, per fortuna. Il Festival ci ha capiti, ci ha adottati. E ha capito anche Madame: a 19 anni è davvero tostissima».


E ora?
Ethan: «Abbiamo annunciato, pandemia permettendo, i nostri primi concerti nei palazzetti: a dicembre a Roma e Milano».
Thomas: «E il 19 marzo esce il nuovo album, Teatro d'ira».


Il titolo ricorda una splendida band post-punk inglese, i Theatre of Hate di Kirk Brandon.
Damiano: «Correremo ad ascoltarli, non li conosciamo ancora, ma ci piaceva mettere insieme queste due parole, il teatro come simbolo di eleganza, cultura, e l'ira come reazione, esplosione, non negativa e violenta, ma catartica e creativa».


A chi dedicate la vittoria?
Damiano: «A chi lavora e vive con noi, al nostro staff che è la nostra seconda famiglia, anzi terza. Prima ci sono le famiglie a casa, poi c'è la band famiglia, poi la famiglia allargata che rocka e rolla con noi. E ai lavoratori dello spettacolo».


Da che Roma venite?
Vittoria: «Non siamo figli della Roma bene, siamo cresciuti in quartieri come Monteverde, Bravetta, Balduina. I nostri genitori sono persone semplici, fanno lavori modesti».


Dove vi ha folgorato il rock?
Damiano: «A scuola nei primi anni di liceo. Rock classico, cose tipo i Doors, poi abbiamo scoperto i Rage Against the Machine. Il papà di Thomas è un metallaro, lavorava per la rivista Metal Shock: si vede che buon sangue non mente».
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