Brian Jagde al teatro San Carlo di Napoli: «Con Sansone e Dalila per riflettere sulla pace»

Brian Jagde al teatro San Carlo di Napoli: «Con Sansone e Dalila per riflettere sulla pace»
di Donatella Longobardi
Mercoledì 28 Settembre 2022, 15:03 - Ultimo agg. 29 Settembre, 09:02
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«Sì, purtroppo non è la prima volta che interpreto un uomo violento contro una donna che ama. Certo, non è qualcosa che mi piace fare, ma queste storie sono importanti oggi come all'epoca in cui sono state scritte, e come artisti abbiamo la responsabilità di offrire uno specchio a noi stessi e alla società per riflettere su ciò che accade e per cercare di cambiare». Brian Jagde riflette sulla figura di Sansone, il personaggio biblico che interpreta al San Carlo in «Samson et Dalila», l'opera di Saint-Saëns in programma da domani per quattro repliche fino al 9 ottobre. Nel cast, accanto al tenore americano che debutta nel ruolo, la Dalila di Anita Rachvelishvili e, sul podio, Dan Ettinger, direttore musicale a Napoli dal gennaio 23.

L'allestimento arriva da Berlino ed è firmato dall'argentino Damián Szifròn celebre per il film presentato a Cannes e candidato all'Oscar, «Storie pazzesche», che nella sua prima regia lirica alla Staatsoper Unter den Linden nel 2019 si è ispirato al kolossal di Cecil B.

DeMille: «Adoro questo allestimento», dice Jagde. «Sono stato particolarmente felice che sia in stile classico e non moderno. Quest'opera ha comunque senso se è ambientata nei tempi della Bibbia, soprattutto perché queste sono figure iconiche per molte religioni e culture».

È un'opera in cui si contrappongono due popoli nemici, si racconta di guerra, di pace. Argomenti drammaticamente attuali, cosa ne pensa?
«È molto evidente che Sansone e Dalila provengono essenzialmente da mondi diversi. Ancora oggi Israele e Palestina sono in conflitto. In qualità di ambasciatore dell'organizzazione Opera per la Pace, che attualmente ha sede qui in Italia, sono assolutamente contrario alla guerra. Penso che la maggior parte di noi nel mondo amerebbe vivere in un'epoca in cui non ci combattiamo o non proviamo odio contro altre persone. Il bisogno di libertà e democrazia non può essere sottovalutato. Molto può essere ottenuto attraverso la diplomazia, tuttavia, se le persone sono attaccate devono essere in grado di difendersi. Vedere la distruzione e vedere come le persone stanno reagendo ispira la nostra azione sul palco. Sembra molto reale dato che tutti possiamo vedere in tv quanto può essere orribile la guerra».

Diceva di un Sansone violento....
«La Bibbia racconta che era tanto forte da spostare le montagne, la sua unica debolezza era proprio Dalila. Alcuni studi sostengono che Sansone avesse tendenze sociopatiche. Credono che avesse un disturbo antisociale della personalità. Nonostante tutti i suoi grandi successi, a volte era anche un bugiardo, un ladro e un prepotente. A mio parere sfoga la sua aggressività su di lei per ragioni che hanno più a che fare con la lotta tra il suo amore e dovere verso Dio e il suo amore per Dalila. Nella nostra produzione Dalila ama Sansone, anche quando lo tradisce. Penso che crei una trama più interessante e più riconoscibile per il pubblico».

Ma lei come si è preparato ad interpretarlo?
«Ho impiegato un anno, ma ho lavorato al ruolo un po' alla volta poiché ho avuto molti altri progetti. Ho sempre lo stesso metodo. Evidenzio il mio testo, traduco, prendo note, aggiungo segni di battuta e dico le parole a ritmo prima ancora di cantare una nota. Dopodiché inizio le lezioni con il mio insegnante di canto per lavorare su ogni riga, frase, pagina, scena, atto e poi l'intera opera. È noioso, ma è l'unico modo per entrare davvero in una partitura. Poi, ovviamente, c'è la costruzione del personaggio come attore leggendo tutti i testi disponibili e vedendo come si applicano al libretto dell'opera».

Lei affronta alcuni dei ruoli più impervi per un tenore: Canio, Radames, Cavaradossi, ora Sansone.
«Non ho preferenze. Ogni ruolo mi permette di affrontare ogni volta qualcosa di nuovo e diverso e non vedo l'ora di affrontare ruoli ancora più difficili. Penso a Otello, Andrea Chenier, Siegmund, Peter Grimes. Sono fortunato di avere una tecnica e un colore che mi permette queste performance. Contemporaneamente al debutto a Napoli preparo Pagliacci a Roma e Don Carlo a Londra. E sono felice di affrontare per l'opera di Leoncavallo la regia che Zeffirelli aveva realizzato per Giuseppe Giacomini, un grande tenore che si esibì spesso al San Carlo, è un onore rendergli omaggio grazie anche al direttore Daniel Oren che aveva lavorato con loro e mi svela i segreti del personaggio».

Lei ha debuttato al San Carlo come Don Josè in «Carmen» con Zubin Mehta. Poi è tornato per un'altra «Carmen» in piazza del Plebiscito e per «Tosca» in teatro.
«Con il maestro è stata un'esperienza magica, fare musica con lui è stata una delle cose più fantastiche della mia carriera, così come ricordo con piacere lo spettacolo in piazza e sono contento di tornare a lavorare con orchestra e coro napoletani. Amo Napoli! Sono nato a New York e qui mi sento come a casa. Il teatro è uno dei più belli del mondo, la città è divertente, le persone sono le migliori che si possono incontrare! E poi adoro il vino, il cibo, la pizza, i piatti di mare. E confesso che ogni tanto mi concedo una sfogliatella, rigorosamente frolla. Da poco ho comprato casa in Italia, così ogni estate per le vacanze o quando vengo qui per cantare ne approfitto per fare il turista in città o andare ad Ischia». 

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