«Don Carlo nel nome di Verdi, tra fede e politica»

L'intervista al basso Michele Pertusi

Michele Pertusi
Michele Pertusi
di Donatella Longobardi
Martedì 5 Dicembre 2023, 08:15 - Ultimo agg. 6 Dicembre, 07:22
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«Sì, Filippo II attualmente è uno dei miei ruoli chiave, per un basso verdiano come me è il personaggio per eccellenza, un uomo solo al potere... da quando l'ho cantato la prima volta nel 2016 ho sempre tante richieste...». Nei panni del re di Spagna nel «Don Carlo», l'anno scorso a Napoli per l'apertura del San Carlo, Michele Pertusi torna a vestire i panni di Filippo II nel capolavoro verdiano che inaugura la stagione della Scala dopodomani (ore 17.45 diretta su Raiuno, con riprese in 4K, e su Radiotre). Assenti il capo dello Stato Mattarella e la premier Meloni, sono attesi il presidente del Senato Ignazio La Russa, il vicepremier Salvini, il ministro della Cultura Sangiuliano e, come ha annunciato il sovrintendente Meyer, ospiti del mondo dell'arte e della cultura. In sala, come l'altra sera alla primina riservata ai giovani, tutto esaurito già da settimane. Sul palco uno spettacolo dai toni «tradizionali» se è vero che la regia di Lluis Pasqual (a lungo al Piccolo come assistente di Giorgio Strehler) sulle scene di Daniel Bianco e coi costumi Oscar di Franca Squarciapino si basa su una lettura shakespeariana dell'opera tra pareti di alabastro, cancellate, ori e bassorilievi.

Sul podio il direttore musicale del lirico milanese Riccardo Chailly che con questo titolo chiude la «trilogia del potere» iniziata con «Macbeth» e proseguita con «Boris Godunov».

E realizza un personale omaggio a Abbado che nel proporre l'opera alla Scala nel 1977 scelse proprio la versione del 1884 concepita da Verdi per questo teatro, la stessa che si eseguirà in questa occasione. In scena un cast femminile all star che include Anna Netrebko come Elisabetta e Elina Garanca come principessa Eboli. Mentre sul fronte maschile si schierano tre divi dell'italianità in musica: il tenore Francesco Meli (Don Carlo), il baritono Luca Salsi (Rodrigo) e il basso Pertusi: «Tra di noi c'è un feeling particolare anche fuori dal palcoscenico perché siamo amici e, anche se cantiamo con tre timbri diversi, per formazione abbiamo seguito un percorso artistico simile».

In che senso, Pertusi?
«Tutti e tre a inizio carriera abbiamo affrontato il belcanto e, solo dopo anni, con la maturità, siamo arrivati a cimentarci con i grandi ruoli verdiani».

Lei però, canta ancora Rossini, sarà Guglielmo Tell proprio alla Scala, in aprile.
«E ho qualche timore, non lo canto da anni perché è un ruolo da baritono, ma è un bellissimo progetto, mi ha stimolato l'idea di farlo con un direttore come Mariotti sul podio».

Lei è nato a Parma, il suo rapporto con Verdi è particolare?
«E come non potrebbe! Sono cresciuto con l'amore per il canto e per Verdi, lo sento nel mio dna. Da ragazzo frequentavo il loggione del Regio, e oggi sono felice di poter interpretare tutti i ruoli da basso previsti nei suoi capolavori».

E «Don Carlo»?
«Che dire, un'opera senza tempo per i temi affrontati, il rapporto tra il potere e la religione, la politica e la spiritualità. Ci sono un padre e un figlio, un padre che sposa la donna amata dal figlio e che ama il ragazzo... Ho già affrontato il ruolo in grandi teatri e anche alla Scala anni fa con Chung, ma questa è la mia prima inaugurazione di stagione in 40 anni di carriera, c'è una attenzione mediatica fortissima che non ha eguali forse perché la Scala rappresenta il melodramma italiano nel mondo e si sente il peso della storia...».

Il suo Filippo II?
«Un uomo tragicamente solo, come sono soli tutti i personaggi dell'opera. Forse, drammaturgicamente, è il personaggio più complicato di tutta la produzione verdiana, un uomo bigotto che vede il suo futuro nella tomba, un "cattivo" che arriva al trono quando il padre abdica e usa il suo potere come gli hanno insegnato. Ma resta sempre solo: "Ella giammai m'amò", canta. Tutto è molto "nero", un nero che entra nell'anima».

Lei ha interpretato l'opera l'anno scorso a Napoli con la regia di Claus Guth, ora a Milano con Pasqual, che differenze trova?
«Sono due regie diverse, due diverse concezioni dell'opera. Qui alla Scala la componente estetica è importante ma la recitazione è asciutta, essenziale, sono tolti tutti gli orpelli. Al San Carlo, al contrario, lo spettacolo realizzato in un ambiente spoglio puntava maggiormente sull'interiorità dei personaggi, era molto cerebrale, anche il coro compariva poco con quelle figure di frati molto inquietanti».

Lei tornerà a Napoli nell'ottobre del 2024.
«Sì, canterò nei panni di Fiesco nel "Boccanegra" in forma di concerto con Tézier e Meli. Con il San Carlo ho un rapporto straordinario. Senza voler fare una classifica, è uno dei teatri più belli al mondo e con una acustica unica, ma non ci sono stato spessissimo come avrei voluto. Per noi artisti Napoli è l'ideale: c'è tutto, il bel clima, la buona cucina...».

E in futuro?
«Credo di aver affrontato tutte le opere che mi ero prefisso, mi piacerebbe però un "Mefistofele" e chissà, ancora Verdi».

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