Franco Cerri, auguri al maestro del jazz: 90 anni suonati molto bene

Franco Cerri, auguri al maestro del jazz: 90 anni suonati molto bene
di Marco Molendini
Venerdì 29 Gennaio 2016, 15:25 - Ultimo agg. 18:07
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Novant'anni nel jazz non sono un'età, sono un'era, quasi la storia intera. E poi nel jazz si muore presto, veloci come il suo ritmo. Franco Cerri, invece, è vivo e vegeto, ironico come sempre, con il sorriso pronto, lo stesso di quando stava in ammollo a Carosello, facendo la pubblicità di un detersivo. Quello spot ha reso indelebile la sua immagine, ma la sua chitarra ha segnato profondamente il corso della musica improvvisata nel nostro paese. Franco i 90 li ha compiuti oggi e li festeggia a modo suo, suonando a Milano al teatro Dal Verme. Suonando e ricordando la sua storia affatto trascurabile, cominciata durante la guerra, quando aveva solo 17 anni e suo padre gli regalò la sua prima chitarra. Allora non c'erano scuole di musica e il padre lo aveva avvertito: «Non ti sognare un maestro. Arrangiati». E Cerri si arrangiò: qualcuno gli spiegò che la corda più grossa era un Mi e lui cominciò così. Fino al giorno in cui incontrò Gorni Kramer, nella Galleria del Corso, luogo di incontro della gente di spettacolo. Kramer, già allora gran nome della musica, fu il suo passaporto per la terra del jazz.

Nell'orchestra del maestro debuttò a soli 19 anni. Una volta si trovò in studio mentre Natalino Otto incideva quello che sarebbe diventato uno dei suoi grandi successi, La classe degli asini (la canzone che dice: «Signorina Maccabei/venga fuori dica lei/dove sono i Pirenei?»). Durante la registrazione, a tradimento, Natalino gli fa: «Cominciamo con l'interrogare il più intelligente. Tu Franco Cerri, sai dirmi dove si trovano i Pirenei?». Il chitarrista, preso a sorpresa, la butta sull'ironia, imitando la voce di Gilberto Govi, l'attore genovese allora molto popolare: «I Pirenei...I Pirenei si trovano, se si cercano. Ma, se non si cercano, no!». La battuta rimase nel disco. Dopo la guerra il jazz uscì dalla clandestinità e Milano divenne rapidamente il centro di passaggio più battuto. Dal grande chitarrista gitano Django Reinhardt (che influenzò decisamente lo stile di Cerri) alla grandissima Billie Holiday, buttata sconsideratamente al teatro Smeraldo in pasto a un pubblico da avanspettacolo. La fischiarono brutalmente e i jazzisti milanesi organizzarono un concerto riparatore, stavolta con il pubblico giusto con la cantante accompagnata dal pianista Mal Waldron, dal batterusta Gene Victory e da Cerri al contrabbasso.

E poi, via via negli anni, ecco arrivare e incrociare tanti amici chitarristi, come Jim Hall, George Benson, e non solo chitarristi come i sassofonisti Gerry Mulligan e Lee Konitz e il trombettista Chet Baker. A un certo punto, per arrotondare, con il jazz certo non si viveva, Cerri comincia a fare il turnista in studio (negli anni ha accompagnato tanta gente da Mina a Nicola Arigliano, a Roberto Vecchioni) e a suonare nei jingle pubblicitari. Un giorno gli offrono di farla lui la pubblicità, in ammollo. «Per alcuni anni ho aperto i concerti così. Salivo e dicevo: prima di cominciare devo rivelarvi una cosa. In quella pubblicità, io non sono davvero nell'acqua... E' un trucco. Poi si poteva suonare in pace». L'ammollo gli dette popolarità e la possibilità di portare il jazz in televisione con il solito suo garbo.Sono trascorsi quasi sett'antanni di musica.

Oggi Franco Cerri non è solo il decano del jazz nazionale, è un esempio di musicista elegante, misurato, orginale, appassionato. E quella passione, tutto ciò che ha imparato, anima ancora i suoi concerti e le sue lezioni nella scuola di musica milanese dove insegna. Oggi il jazz si può anche studiare. Non come ai suoi tempi.

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