Carlo Tavecchio morto, quando profetizzò lo scudetto del Napoli

L'addio all'ex presidente della Figc scomparso a Erba

Carlo Tavecchio
Carlo Tavecchio
di Pino Taormina
Domenica 29 Gennaio 2023, 12:00 - Ultimo agg. 30 Gennaio, 16:17
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Carlo Tavecchio è stato un dirigente pazzo per il calcio. Era la sua vita. Forse, anche troppo. A quasi 80 anni era ancora brillantemente alla guida del comitato regionale della Lombardia della Lega Dilettanti, che aveva già guidato negli anni 90. Una lunga scalata, fino al 2014 quando era stato eletto presidente della Figc (battuto Albertini) dopo l'addio di Giancarlo Abete. È scomparso nella notte nell'ospedale di Erba, i funerali si svolgeranno domani nella sua Ponte Lambro: in tutte le gare del week-end, in suo onore, un minuto di raccoglimento. Tavecchio era innamorato di questo Napoli, non lo nascondeva: «Credo che vincerà lo scudetto, nessuno gioca meglio degli azzurri, è giusto che il titolo vada a loro», aveva spiegato nell'ultima intervista pochi giorni fa. Sindaco democristiano, una lunga carriera iniziata con la fondazione della Pontelambrese: ha ricoperto qualsiasi ruolo in questi decenni togliendosi lo sfizio di battere anche l'attuale ministro dello Sport, Abodi, nella corsa alla poltrona di numero uno della Federcalcio nel 2017. Si dimise dopo un bel po' di resistenza («Sono vittima di uno sciacallaggio politico») per il pari dell'Italia con la Svezia che ci costò la prima (allora non sapevano che ce ne sarebbe stata pure un'altra) mancata qualificazione al Mondiale 2018. Gli girarono tutti le spalle. Capro espiatorio perfetto di qualsiasi male del calcio italiano ma è stato anche il dirigente che più di tutti ha voluto l'introduzione del Var (e convinse Nicchi ad accettarlo). Ma anche quello che nel corso degli anni è stato travolto da polemiche e gaffe: Optì Pobà e i mangiatori di banane (l'Uefa lo sospese per 6 mesi), gli omosessuali, le donne, gli ebrei. Arrivò persino a dire: «L'assassino di John Kennedy non ha subito quello che ho subito io».

Scaricò Ventura dopo la debacle del 18: «Era Capello la mia prima scelta. La seconda scelta fu Donadoni, la terza il duo Ventura-Lippi, ma quando furono sollevati dubbi di compatibilità per il figlio procuratore, Lippi rinunciò. Tutto questo percorso però fu fatto con il placet del presidente del Coni Malagò. Poi, quando la barca non va bene, scendono tutti». Già, rimase solo. Ma per poco. Perché poi con Gabriele Gravina, che nel frattempo era stato eletto presidente della Figc, ha raggiunto un accordo di ferro che gli ha consentito due anni fa di prendere in mano - di nuovo - le redini del comitato lombardo della Lega Nazionale Dilettanti. Oggi, giustamente, sono tutti tristi per la sua scomparsa. De Laurentiis è stato tra i primi a scrivere un tweet di condoglianze. Ma non c'è club italiano che non lo abbia fatto. A via Allegri, il tricolore è stato messo a mezz'asta in segno di lutto. «Carlo ha rappresentato un modo con il quale ci si può confrontare, si può competere ma ci si può rispettare. La mia vita è cambiata perché Carlo ha vinto e io ho perso, ma è stata una competizione leale e corretta», ha ricordato il ministro dello Sport Andrea Abodi. «Ha dato tutto, era una persona molto competente. Il movimento sportivo e del calcio deve riconoscergli un grazie enorme», dice il presidente del Coni Giovanni Malagò. «Era affettuoso, sensibile, ma aveva sempre questo animo a tutela e a difesa del mondo che ha rappresentato a lungo, quello dei dilettanti».

Commosso anche il presidente federale Gravina: «Ci lascia un amico dalle grandi qualità umane, molto impegnato nel sociale e un dirigente preparato, che ha saputo dare voce e dignità alle società dilettantistiche e che non ha mai rinunciato a innovare. L'impulso allo sviluppo del calcio femminile in Italia attraverso il connubio con i club professionistici maschili, l'introduzione della Goal Line Technology e del Var, così come la scelta in campo internazionale di appoggiare gli attuali vertici di Uefa e Fifa sono state sue felici intuizioni». 

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