Caro Diego, sei ancora qui. Non te ne andasti quel Lunedì in Albis del 1991, quando chiudesti la porta di via Scipione Capece dove non avresti fatto più ritorno perché raggiunto dalla squalifica per doping, e neanche quel pomeriggio del 25 novembre 2020, quando arrivò la notizia della tua morte. Chi ha vissuto accanto a te per anni, come Salvatore Carmando o Daniel Arcucci, il tuo unico biografo che possedeva tutti i sette numeri dei tuoi cellulari peraltro quasi sempre spenti, dice che se fossi rimasto a Napoli, qui tra noi, non saresti morto così giovane. Perché l'amore della città ti avrebbe difeso e curato.
Lunedì 30 ottobre avresti compiuto 63 anni.
Dice Stefano Ceci, il napoletano che ha vissuto accanto a te per vent'anni e firma ancora i tuoi contratti perché titolare dei diritti di immagine: «Pensavo che soltanto dopo la morte di Maradona l'Argentina avrebbe vinto il Mondiale e il Napoli lo scudetto. E così è stato». Il Mito sarà ricordato con eventi e fiaccolate, i ragazzi della Gevi Basket indosseranno una maglia con le strisce bianche e azzurre in tuo onore. Tutto ancora sa di Maradona in questa città, i murales sono dovunque e ci sono sempre i bandieroni con la tua immagine nello stadio che ti è stato dedicato tre anni fa, pochi giorni dopo la tua morte. Si trovarono quasi tutti d'accordo: era ed è la tua casa.