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Il Napoli da Ferlaino a De Laurentiis: i sogni scudetto hanno diciott'anni

L’ingegnere diventò presidente nel ‘69 e trionfò nell’87

Ferlaino e De Laurentiis
Ferlaino e De Laurentiis
di Angelo Carotenuto
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 3 Febbraio 2023, 07:08 - Ultimo agg. : 4 Febbraio, 09:01
4 Minuti di Lettura

L’orologio dice che è questo il momento esatto. Quando gli inzupparono di spumante la camicia, Corrado Ferlaino cantava e ballava nello spogliatoio: «Innamorato son». Nessuno l’aveva visto mai così, senza freni. Gian Piero Galeazzi sobbalzò: «Presidente, lei è il più scalmanato di tutti». Ferlaino uscì dal suo guscio di riservatezza. Rispose: «Eh sì, sono 18 anni, se permette».

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Diciotto anni e 4 mesi al comando, voleva dire. Il tempo impiegato per partorire lo scudetto. La camicia di Aurelio De Laurentiis è ancora asciutta, ma pure lui cantava e ballava domenica sera, seduto in macchina, circondato dalla folla. Aveva una faccia nuova, non più da seduttore, ma da sedotto, e senza che nessuno si impressioni, dopo il 2-1 alla Roma e con 13 punti di vantaggio, in quel momento sono scattati i 18 anni e 4 mesi anche per lui.
Gennaio 1969-maggio 1987, settembre 2004-gennaio 2023. Due percorsi verticali. Quello di Ferlaino, alla lettera. La leggenda racconta che mise le mani sulle azioni necessarie per il controllo del club bruciando sul tempo gli altri soci. Loro aspettavano l’ascensore al piano terra, lui salì le scale di corsa e si accordò per prendere le quote in vendita. «Abbiamo comprato il Napoli» gli dissero quando alla fine lo raggiunsero. Li gelò tutti: «Veramente il Napoli l’ho comprato io».

La scalata di De Laurentiis è stata più metaforica e accidentata. Il suo piano terra è stata la serie C, come tra l’élite d’Europa è successo negli ultimi 25 anni solo al Manchester City e al Lipsia, ma una è la squadra di un emirato, l’altra di un’azienda che mette le ali, fattura 6 miliardi all’anno e corre pure in Formula 1. 

Sono come due personaggi di Salgari, sfuggenti, imprendibili, ognuno nel suo stile, tutti e due per avventure al mondo, al guinzaglio di nessuno. Uno come un vecchio pilota di rally sulle strade fatte di ciottoli, l’altro sui tappeti lisci e rossi di Hollywood, leggero tra le star. Il primo ha costruito palazzi, l’altro sogni immateriali, storie, fantasie. Ferlaino ha solcato i mari del calcio come un Lord Brooke, governativo, istituzionale, tessitore di reti e relazioni, con una sedia in consiglio federale. Aveva i politici Dc e Psi in società, le banche come alleate, i vertici Rai dalla sua parte per contrastare la Fininvest e quello che chiamava l’asse Milano-Torino. È stato attento a seguire i riti del sacerdozio tanto quanto De Laurentiis pratica l’eresia, uno Yanez irriverente, sensibile alla grammatica dell’arrembaggio. Uno cuciva, l’altro strappa, tutti e due funzionali alle rispettive epoche. Uno è stato il presidente degli acquisti miliardari, l’altro l’imprenditore delle cessioni milionarie. Ferlaino aveva la forza del San Paolo quando nel calcio era potente chi staccava più biglietti. Se a un campione si poteva arrivare, il Napoli era là, ci provava. Savoldi o Paolo Rossi, Giordano o Bagni, Vialli o Zenga, Careca o Stoitchkov. E naturalmente Diego. Frase chiave: «Maradona è stato la Sisàl». De Laurentiis ha interpretato come nessun altro in Italia l’età del fair play finanziario e dell’autofinanziamento, quando il potere è slittato verso i bacini d’utenza dei diritti tv e i mercati internazionali. Se i campioni non li puoi comprare, allora te li inventi. Uno slovacco con la cresta, un senegalese in Belgio, un’ala georgiana. Frase chiave: «Sono io il vostro Cavani». 

Nessuno ha avuto il piacere di essere amato dai contemporanei. Dove fosse la villa di Ferlaino era noto a tutti. Prima dello scudetto gli hanno messo le molotov in giardino e fatto volare aerei sullo stadio per chiedergli di andarsene. C’era un piano intimidatorio per soffiargli il Napoli. De Laurentiis è una nuvola. Non vive in città. La sede non esiste. Le curve lo contestano da anni, in estate lo volevano sulla A16, verso Bari. L’ingegnere ha ricambiato il disamore con l’assenza. Dava un’intervista all’anno, andava via dallo stadio all’intervallo, attraversava la città come un’anguilla. Segni particolari: le stanghette degli occhiali tra le labbra. La distanza di De Laurentiis è stata il sarcasmo, spesso l’irrisione, la sovrabbondanza di parole, gli eccessi, le retromarce, molto americano quanto è british l’altro. Segni particolari: le lenti scure. 

Ognuno ha avuto quel che mancava all’altro. Due mele a metà, impossibili da unire. Se non a Capri. Un Ferlainentiis sarebbe stato troppo. Alla scadenza dei 18 anni e 4 mesi, il presidente del primo scudetto non aveva un sindaco da cui farsi ricevere. Il Comune era in mano a un commissario prefettizio. A De Laurentiis capita un sindaco non tifoso, juventino, ultima analogia dentro uno specchio di opposti. Anzi, la penultima. Ferlaino festeggiò in un Napoli-Fiorentina il 10 maggio. Con il vantaggio attuale, la proiezione dice che De Laurentiis deve tenersi pronto per Napoli-Fiorentina, il 7 maggio. Che è come dire: quasi il 10.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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