Due anni fa, in occasione del suo 90esimo compleanno, Luis Vinicio riunì a Villa d'Angelo, sulla collina del Vomero, tanti vecchi amici e vecchi allievi. Il bomber dei gol impossibili al Vomero, nell'amato stadio Collana; l'allenatore che ha scritto pagine di storia del calcio italiano importando la zona olandese e sfiorando lo scudetto nel '75, negato soltanto da quel maledetto Altafini core 'ngrato, suo connazionale.
Vinicio, un brasiliano con Napoli sempre nel cuore. Anche se la professione di calciatore e allenatore lo ha portato altrove, non aveva mai pensato di muoversi da Napoli, dalla casa di via Manzoni, dove nella scorsa primavera festeggiò lo scudetto firmato Spalletti. L'attuale ct e Sarri sono stati gli allenatori azzurri più apprezzati negli ultimi anni, perché quel Napoli vinceva attraverso il gioco. Proprio come il suo, costruito con giocatori avanti negli anni e interessanti talenti all'inizio degli anni Settanta, quando Ferlaino decise di puntare su un giovane tecnico, senza alcuna esperienza in serie A, per aprire un ciclo che non fu vincente soltanto perché arrivò quella maledetta rete di Altafini nello scontro diretto a Torino. La Coppa Italia, vinta un anno nella finale contro il Verona, fu della squadra di Vinicio ma lui non c'era in panchina: aveva litigato con il presidente e si era fatto da parte, lasciando il posto al fedelissimo vice Delfrati e a Rivellino, tecnico della Primavera che aveva vinto il Torneo di Viareggio.
Del Vinicio maestro di calcio si è detto tutto. È stato un punto di riferimento, per il suo coraggio, anche per Sacchi, che dopo oltre dieci anni riprese quel tema e sfidò il Napoli di Maradona per lo scudetto, arrivando poi a vincere in tutto il mondo.
Buon compleanno, mitico Lione.