Napoli come Hollywood, intervista a Edoardo De Angelis: «Vi spiego perché tutti vogliono girare a Napoli»

La città, ormai, è di tutti: dei napoletani, ma anche dei turisti, e delle innumerevoli produzioni, italiane ed estere

Edoardo De Angelis con Pierfrancesco Favino
Edoardo De Angelis con Pierfrancesco Favino
di Alessandra Farro
Mercoledì 15 Maggio 2024, 07:21 - Ultimo agg. 16 Maggio, 18:59
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Napoli, esterno giorno. I riflessi del sole risplendono, mutano, giocano con le onde che increspano il mare, in lontananza, un’isola a misura d’uomo, dove s’erge Castel dell’Ovo, alle spalle il Vesuvio: uno scenario che mai come negli ultimi anni sta conquistando gli schermi televisivi e cinematografici, italiani e non solo. La città, ormai, è di tutti: dei napoletani, ma anche dei turisti, e delle innumerevoli produzioni, italiane ed estere, che hanno scelto, scelgono e continueranno a scegliere la Campania come location, confermando la città come capitale del cinema italiano, la nostra «Napollywood». Partenopeo, classe ’78, Edoardo De Angelis lo sa bene: ha scommesso sul suo cinema, partendo 13 anni fa da piccole produzioni in Campania, per arrivare oggi al suo ultimo film «Comandante» (ora su Prime Video), ambientato fuori regione, con una produzione da 15 milioni, budget enorme per il cinema italiano, e ritornare, poi, per i suoi prossimi lavori proprio nella sua città. 

De Angelis, perché tutti vogliono girare a Napoli? 
«All’improvviso siamo di tendenza, non me lo sarei aspettato, ma...

quando la bellezza viene scoperta, piace a tutti. Napoli non è una sola città, conserva milioni di sfaccettature, antri nascosti e pezzetti di paradiso inesplorati. Offre occasioni e suggestioni di varia natura, si dirama in sentimenti variopinti. Poi attorno alla città aleggia una magia sinistra, intrigante. Napoli è custode del paradiso e dell’eden perduto al tempo stesso, l’equilibrio precario tra bellezza e distruzione risuona forte negli esseri umani che si imbattono nelle sue strade».

Cos’è cambiato negli ultimi anni? 
«Napoli è sempre stata centrale nei secoli in qualunque cosa avesse a che fare con la cultura e la bellezza, poi negli anni ‘90 le autrici e gli autori napoletani sono entrati nel panorama cinematografico nazionale in maniera dirompente, fulgido esempio è Paolo Sorrentino. Ma oggi c’è qualcosa di diverso rispetto ai filoni precedenti: l’Italia è passata dalla rappresentazione del cinema in maniera artigianale alla costituzione del settore in forma industriale, dunque, oggi c’è una continuità produttiva che prima non poteva esserci. Adesso in Campania stiamo vedendo fiorire una vera e propria industria che offre lavoro e stabilità. Questa è la novità fondamentale. In passato il cinema era una forma di resistenza politica ed estetica, oggi i ragazzi vanno in banca e riescono ad ottenere mutui grazie al lavoro sui set».

La città è stata ripresa in lungo e in largo: esistono ancora dei posti sconosciuti? 
«Sicuramente c’è ancora tanto da scoprire, ma un posto già conosciuto, inflazionato, può offrire significati diversi e mai indagati prima, dipende dall’angolazione in cui viene posato l’obiettivo. Poi, ci sono luoghi che ridondano, e quelli che mutano nel corso del tempo. Penso a Castel Volturno, dove ho girato a più riprese negli anni, e che si muove come un animale. Ogni volta mostra un lato inedito di sé. La stessa cosa succede in città: camminando tra i vicoli del centro storico i muri e le strade sembrano immutabili al passare del tempo, e ti sussurrano tutti i mostri che si portano incollati addosso nei secoli, poi, continuando a camminare, cambiano le biografie e le architetture e la città si mostra sempre nuova, sempre diversa e sempre uguale. La novità Napoli la porta nel nome: “Neapolis” significa “città nuova” e questa caratteristica non muterà mai».

Ma quale Napoli mostriamo al mondo? 
«Negli ultimi anni, non hanno scelto la città soltanto registi napoletani, o italiani, ma anche e sempre più spesso stranieri. La serie statunitense “Ripley” di Steven Zaillian, girata tra la costiera ed Atrani, cambia totalmente il suo sguardo sulla regione, rispetto all’adattamento cinematografico del 1999 del libro di Patricia Highsmith, “Il talento di Mr. Ripley”: l’occhio paternalistico con cui gli americani erano avvezzi guardarci – come esseri pittoreschi e sottosviluppati dal punto di vista sociale – non esiste più. Oggi primeggia la fascinazione e il desiderio di abbandonarsi alla bellezza dei nostri luoghi. Comunque da sempre e per sempre cozzeranno l’esaltazione di stereotipi colorati, che in quanto tali conservano un fondo di verità, e una visione più nera e dannata, non meno vera. Napoli è una città speculare che contiene in sé tutto il bene e tutto il male».

Luoghi diventati topoi? 
«Vedo spesso il palazzo dello Spagnolo della Sanità, piazza Plebiscito, il lungomare e il Vesuvio, che incombe come una presenza benevola e al tempo stesso minacciosa. Ma ci sono anche dei luoghi meno popolari, che rimangono impressi nella memoria collettiva per la loro bellezza suggestiva e inimitabile già dalla prima ripresa dell’obiettivo, il cimitero delle Fontanelle e Napoli sotterranea sono due validi esempi. Quando girai “Perez”, mi dissero che avevo dato risalto ad una Napoli sconosciuta, ne rimasi sorpreso, perché il centro direzionale è un luogo simbolo della città per noi napoletani e una volta che è stato visto sul grande schermo, nessuno se n’è più dimenticato». 

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