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POZZUOLI. Tra crolli, ponteggi e cani randagi, nell'area archeologica di Cuma regna il degrado: ormai è facile persino portarsi a casa come souvenir un reperto archeologico, senza che nessuno se ne accorga. Frustuli di colonne, pezzi di marmo, cocci di anfore: in un angolo del Tempio di Giove, ammassati in cassette di plastica senza alcuna vigilanza, si possono trovare centinaia di reperti. Rubarli per il gusto di avere un ricordo dell'acropoli è un gioco da ragazzi. Un (piccolo) tesoro archeologico tenuto alla rinfusa sotto una rete nerastra, di quelle usate in Costiera sorrentina per coltivare i limoni. A Cuma, antica colonia dei greci di Eubea, quella retina serve a coprire alla meno peggio i resti di un glorioso passato. Che stride con un presente fatto di decine di cartelli che indicano pericoli e divieti.
Da marzo scorso, dopo il crollo dei calcinacci da uno dei bracci laterali, è chiuso al pubblico l'Antro della Sibilla.
Di vigilanti della soprintendenza ce n'erano solo due, seduti nel gabbiotto posizionato all'ingresso, tra l'Antro e l'ingresso della Grotta di Cocceio, chiusa da anni e impacchettata in una rete metallica che la protegge dai flash delle macchinette fotografiche ma non dai piccioni. Vuoti gli altri gabbiotti. E il percorso accidentato verso la sommità dell'acropoli, che domina la foresta e il mare di Licola, è diventato il calvario di un'area archeologica tra le più famose d'Italia.
Segnaletica divelta e poggiata al bordo della strada in basoli romani come fossero resti da ammirare e fotografare. Il bastione occidentale, a picco sulla città bassa, diventato groviglio di rovi e sterpaglia. Un tour tra le bellezze negate, dove anche un bagno per i visitatori è chiuso perché guasto. E nei locali a lato delle toilette, centinaia di cassette di plastica usate per le conserve dei pomodori custodiscono altri reperti greco-romani.
Le sacerdotesse di Apollo si affacciavano dalla sommità del monte, lungo la via Sacra, per ammirare le processioni: i turisti che si sporgono oggi dalle terrazze trovano rifiuti di ogni genere. C'è anche la porta di un frigorifero. E, mano a mano che si sale, aumenta il rischio di crolli. Sulla prima spianata c'è il Tempio di Apollo: in alcuni punti i resti del perimetro di tufo dell'antica struttura, originariamente del VI a.C. e poi rifatta nel II secolo a.C., si stanno sbriciolando come fosse sabbia. Sulla sommità c'è il Tempio cosiddetto di Giove: scoperto tra il 1924 e il 1932, è il maggiore santuario dell'acropoli e secondo gli archeologi della Seconda università di Napoli sarebbe stato dedicato ad una triade venerata a Cuma, con un culto pagano maschile e femminile poi trasformato in età cristiana nel culto di san Massimo e santa Giuliana.
Un luogo dal forte interesse storico-scientifico, al centro di una serie di studi e campagne di scavo. È il pezzo forte dell'area archeologica dopo l'Antro della Sibilla. E ora anche un improvvisato paradiso per turisti e visitatori senza scrupoli, a caccia di reperti da portarsi a casa per farli ammirare agli amici.