Cuma, sfregio al Mito: ecco il tour dei tesori negati | Foto

Cuma, sfregio al Mito: ecco il tour dei tesori negati | Foto
di Nello Mazzone
Martedì 19 Agosto 2014, 19:04 - Ultimo agg. 19:09
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POZZUOLI. Tra crolli, ponteggi e cani randagi, nell'area archeologica di Cuma regna il degrado: ormai è facile persino portarsi a casa come souvenir un reperto archeologico, senza che nessuno se ne accorga. Frustuli di colonne, pezzi di marmo, cocci di anfore: in un angolo del Tempio di Giove, ammassati in cassette di plastica senza alcuna vigilanza, si possono trovare centinaia di reperti. Rubarli per il gusto di avere un ricordo dell'acropoli è un gioco da ragazzi. Un (piccolo) tesoro archeologico tenuto alla rinfusa sotto una rete nerastra, di quelle usate in Costiera sorrentina per coltivare i limoni. A Cuma, antica colonia dei greci di Eubea, quella retina serve a coprire alla meno peggio i resti di un glorioso passato. Che stride con un presente fatto di decine di cartelli che indicano pericoli e divieti.

Da marzo scorso, dopo il crollo dei calcinacci da uno dei bracci laterali, è chiuso al pubblico l'Antro della Sibilla.

Imbracato da pali di legno che tentano di arrestare l'erosione del tufo, in attesa dei lavori di consolidamento già previsti dalla Soprintendenza ma ancora incompiuti. Nel fine settimana di Ferragosto i turisti che hanno voluto ripercorrere i passi dell'Eneide in cui si celebra Cuma e la sua acropoli, sono stati accompagnati nel loro giro da mansueti cani randagi, diventati i padroni dell'area archeologica. Cagnette che hanno il privilegio di poter accedere nell'Antro e nelle altre aree interdette dai nastri segnaletici per il pericolo di crolli.

Di vigilanti della soprintendenza ce n'erano solo due, seduti nel gabbiotto posizionato all'ingresso, tra l'Antro e l'ingresso della Grotta di Cocceio, chiusa da anni e impacchettata in una rete metallica che la protegge dai flash delle macchinette fotografiche ma non dai piccioni. Vuoti gli altri gabbiotti. E il percorso accidentato verso la sommità dell'acropoli, che domina la foresta e il mare di Licola, è diventato il calvario di un'area archeologica tra le più famose d'Italia.

Segnaletica divelta e poggiata al bordo della strada in basoli romani come fossero resti da ammirare e fotografare. Il bastione occidentale, a picco sulla città bassa, diventato groviglio di rovi e sterpaglia. Un tour tra le bellezze negate, dove anche un bagno per i visitatori è chiuso perché guasto. E nei locali a lato delle toilette, centinaia di cassette di plastica usate per le conserve dei pomodori custodiscono altri reperti greco-romani.

Le sacerdotesse di Apollo si affacciavano dalla sommità del monte, lungo la via Sacra, per ammirare le processioni: i turisti che si sporgono oggi dalle terrazze trovano rifiuti di ogni genere. C'è anche la porta di un frigorifero. E, mano a mano che si sale, aumenta il rischio di crolli. Sulla prima spianata c'è il Tempio di Apollo: in alcuni punti i resti del perimetro di tufo dell'antica struttura, originariamente del VI a.C. e poi rifatta nel II secolo a.C., si stanno sbriciolando come fosse sabbia. Sulla sommità c'è il Tempio cosiddetto di Giove: scoperto tra il 1924 e il 1932, è il maggiore santuario dell'acropoli e secondo gli archeologi della Seconda università di Napoli sarebbe stato dedicato ad una triade venerata a Cuma, con un culto pagano maschile e femminile poi trasformato in età cristiana nel culto di san Massimo e santa Giuliana.

Un luogo dal forte interesse storico-scientifico, al centro di una serie di studi e campagne di scavo. È il pezzo forte dell'area archeologica dopo l'Antro della Sibilla. E ora anche un improvvisato paradiso per turisti e visitatori senza scrupoli, a caccia di reperti da portarsi a casa per farli ammirare agli amici.

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