Asilo degli orrori: «Dopo cinque anni vogliamo giustizia»

Asilo degli orrori: «Dopo cinque anni vogliamo giustizia»
di Viviana De Vita
Mercoledì 17 Giugno 2015, 12:01 - Ultimo agg. 16:38
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PELLEZZANO - Hanno gridato la propria innocenza raccontando il loro calvario e quella pesantissima accusa di pedofilia che, dall’ormai lontano 2010, pende sul loro capo come una spada di Damocle. Uno spettro contro il quale ancora non possono combattere perché, nonostante siano passati cinque lunghissimi anni dal decreto di perquisizione che li inchiodò sul registro degli indagati come i “mostri” della materna di Coperchia – organizzatori e partecipi di un giro di violenze ai danni di bimbi – sono ancora in attesa del processo. L.D. ha una laurea in lettere che ha preferito mettere nel cassetto per non allontanarsi dalla sua famiglia e da 15 anni presta servizio come bidella nelle scuole materne. P.A. nel mondo dell’infanzia gravita da ormai 40 anni come impiegato amministrativo e a settembre avrebbe dovuto festeggiare la pensione.



Entrambi lo scorso mese hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini con le accuse di violenza sessuale di gruppo e di pedopornografia perché, secondo la tesi della Procura, costruita sulle deposizioni dei piccoli, avrebbero costretto insieme ad altre 4 persone tra bidelli e personale amministrativo, i bambini della materna a subire vere e proprie violenze sessuali. Davanti al loro legale, l’avvocato Gerardo Di Filippo, hanno deciso di raccontare la loro verità in attesa di poterlo fare davanti ai giudici. «Era dicembre 2010 – racconta la donna – quando i carabinieri hanno bussato alle porte della mia abitazione. In mano avevano un decreto di perquisizione: è stato l’inizio di un incubo nel quale sono stati trascinati anche mio marito e i miei due figli che, all’epoca, erano appena due bambini. Mi sono trovata in un vortice di accuse: i giochi che facevamo con i bambini, tutti allegri espedienti per espletare le più banali attività come accompagnarli nel bagno o in laboratorio, mettendoli in fila come un “trenino” sono stati mal interpretati. Così il gioco del cucchiaio – un semplice modo per fargli bere la coca cola durante le festicciole, o quello della carta igienica per farli pulire dopo averli accompagnati nel bagno, o quello della zanzara, una semplice canzoncina per bambini, sono stati tutti deformati e reinterpretati attraverso una chiave di lettura raccapricciante che ci addita come mostri intenti a fare violenza a quegli stessi bambini che abbiamo sempre accudito come se fossero i nostri».
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