Clan Zagaria, il pm: «Depistaggio di falsi pentiti»

boss michele zagaria
boss michele zagaria
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 30 Dicembre 2015, 09:04 - Ultimo agg. 10:11
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Non vengono ritenuti credibili. Anzi, ad usare l’espressione pronunciata ieri mattina dinanzi ai giudici dal pm anticamorra, quei due dichiaranti sono fortemente gravati dal sospetto di «depistare» le indagini. Inquinano, depistano, forniscono elementi che rischiano di minare indagini costate anni. Eccolo il ragionamento sviluppato ieri mattina dal pm Catello Maresca nei confronti di Oreste Basco e Pasquale Pagano, un tempo autisti del boss latitante Michele Zagaria, oggi detenuti e ascoltati in alcuni processi come dichiaranti. Ieri mattina, a porte chiuse si discuteva delle richieste di scarcerazione di alcuni imprenditori ritenuti collusi con la camorra dei casalesi, nel corso della stessa vicenda che ha portato al sequestro del centro commerciale Jambo di Trentola Ducenta. Stando alle conclusioni del pm della Dda, la posizione di Basco e Pagano è tutta da mettere a fuoco, specie in relazione alle indagini che hanno visto coinvolti gli imprenditori del gruppo Garofalo e Diana: «Hanno assunto posizioni discutibili - spiega il magistrato - stanno depistando».

Una valutazione che aiuta anche a comprendere - sempre nell’ottica della Procura - il senso dell’intervento di Michele Zagaria, lo scorso quindici dicembre, dinanzi a una sezione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Una sorta di show, quello dell’ex boss di Casapesenna, che chiese di prendere la parola per una deposizione spontanea subito dopo una domanda posta dal pm d’udienza Maurizio Giordano: «Lei non ha paura di Michele Zagaria?», gli aveva chiesto il magistrato. E ancora: «Perché non lascia Casapesenna, se sta rendendo dichiarazioni ai pm?». Parole su cui è arrivata la chiosa del boss al 41 bis: «Non è una domanda corretta - aveva spiegato - perché per quanto mi riguarda, Nicola Pagano non deve aver paura, può starsene a Casapesenna, ha solo preso una strada diversa dalla mia. La cosa importante - aveva aggiunto - è che ognuno segua la propria strada con onestà e correttezza: voi la vostra, Pagano la sua, io la mia».

Parole che oggi si rileggono alla luce dell’intervento in aula del pm Maresca. Possibile che ci sia un tacito accordo tra accusati e accusatori per inquinare le indagini della Dda? Intanto, sempre dalla lettura degli atti del caso Pagano, emergono particolari sulla latitanza di due soggetti per anni al centro dell’attenzione investigativa dei più importanti apparati giudiziari italiani. Parliamo di Michele Zagaria e di Giuseppe Setola, quest’ultimo condannato all’ergastolo come responsabile della svolta stragista del 2008. Stando al racconto di Nicola Pagano, i due superlatitanti si sarebbero incontrati in almeno un’occasione nel 2008. Un summit in uno dei covi di Zagaria, motivato dall’esigenza del boss di Casapesenna di capire quali fossero le intenzioni di Setola dopo la girandola di omicidi messa a segno senza l’esplicito via libera del direttorio dei casalesi. Spiega Pagano: «Siamo nel 2008, ero con Michele Zagaria e venne Antonio Basco, che portò Setola, Cirillo e Gianluca Bidognetti. Zagaria volle incontrare Setola prima per la questione della Biogas, perché Peppe Setola aveva chiesto soldi alla Biogas, poi c’era un’altra questione. Perché Setola ammazzava un sacco di persone.

Mi disse che voleva incontrarlo: ”Ma questo che sta a combinà? Mo lo devo incontrare perché la deve finire, non può ammazzare tutte queste persone”». Stando al ricordo di Pagano, una volta entrati nel covo di Zagaria, il boss impose a Zagaria e ai suoi uomini di posare le pistole sul divano, perché anche in quella occasione, Setola si presentò armato e scortato a casa di Michele Zagaria».

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