Pen drive di Zagaria, no del gip
all’arresto del poliziotto: appello della Dda

Pen drive di Zagaria, no del gip all’arresto del poliziotto: appello della Dda
di Mary Liguori
Mercoledì 15 Marzo 2017, 08:27
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CASERTA - Dopo il «no» del gip, la Dda di Napoli attende le decisioni del tribunale del Riesame dinanzi al quale è stato discusso, alcuni giorni fa, l’appello per ottenere l’arresto di Oscar Vesevo, il poliziotto che avrebbe sottratto una pen drive dal covo di Michele Zagaria durante l’operazione che portò al suo arresto, il 7 dicembre del 2011. La richiesta di misura cautelare riguarda una controversa vicenda venuta alla luce durante le indagini dell’operazione «Medea» che, nel luglio del 2015, portarono all’arresto di una dozzina di persone accusate di avere manipolato l’affidamento dei lavori in somma urgenza per la manutenzione delle rete idrica campana. La Dda ipotizzò un accordo tra il clan Zagaria, i politici e gli imprenditori in odore di camorra. Da una intercettazione tra due costruttori emerse la vicenda a monte della richiesta di arresto di Vesevo. I due erano in macchina quando parlarono della sottrazione della pen drive dalla casa di via Mascagni a Casapesenna sotto il cui pavimento era stato realizzato l’ultimo bunker di Michele Zagaria, il covo dal quale fu stanato dopo quindici anni di latitanza. 

Augusto e Raffaele Pezzella non sapevano di essere intercettati, naturalmente. «Se sapessi che mi raccontarono, mi metto pure paura di dirtelo - disse Augusto mentre era in macchina col fratello - là abbascio consegnarono la chiavetta a forma di cuore, lui tiene anche un amico poliziotto. Fece il passaggio 50mila mi disse: “A lui portai i soldi”». Secondo l’interpretazione della Dda, i Pezzella facevano riferimento a un prezioso supporto informatico in cui Michele Zagaria aveva travasato una serie di informazioni segrete nei momenti immediatamente precedenti la cattura. Pezzella affermò di avere appreso quelle circostanze da Maurizio Zippo, un altro imprenditore. Secondo loro, la chiavetta fu consegnata dal poliziotto a Orlando Fontana, oggi sotto processo per quelle vicende insieme al fratello, Pino, accusato invece di avere ottenuto appalti pubblici grazie ai Casalesi. È sospettato di aver recuperato la pennetta per riconsegnarla al clan. L’usb non è mai stata ritrovata, tuttavia nell’autunno successivo l’operazione «Medea» fu la moglie del proprietario della villetta in cui Zagaria si nascondeva a parlarne ancora e svelare il nome del poliziotto che l’avrebbe presa. «Era a forma di cuore con dei brillantini tipo Swarovski - spiegò in un interrogatorio del 21 ottobre 2015 - e fu regalata a mia figlia dallo zio (lo «zio» è Zagaria, ndr)». «Durante l’operazione del 7 dicembre - disse ancora la Massa - venne presa da uno dei poliziotti. Gli dissi che era di mia figlia, non mi rispose e se la prese. Non so che fine ha fatto». Quando Rosaria Massa rese questo interrogatorio, confermò quanto era contenuto in un file audio del 22 settembre precedente in cui diceva le stesse cose. A registrarla di nascosto furono due affiliati ai Casalesi che in quel periodo sostenevano di voler cambiar vita: Oreste Basco e Pasquale Pagano. I due si incontrarono con la donna e con il marito, Vincenzo Inquieto, e fecero loro delle domande sulla usb sparita. La Massa raccontò l’episodio e disse che il poliziotto che l’aveva presa era Vesevo, all’epoca in forza alla squadra mobile di Napoli. Poi fu convocata in procura e confermò tutto, ma ci tenne a precisare che l’usb conteneva foto di sua figlia, non documenti segreti di Zagaria. Dal momento che la chiavetta non è mai stata ritrovata, non sarà possibile verificare la sua versione dei fatti. Intercettazioni e racconti incrociati hanno invece convinto la Dda che la chiavetta è esistita e che c’è stata una trattativa per sottrarla al sequestro. Una trattativa che avrebbe coinvolto da un lato Orlando Fontana, che per quei fatti è detenuto e sotto processo, dall’altro Vesevo, che invece è libero perché secondo il gip non ci sono i presupposti per procedere al suo arresto. Il pool antimafia diretto dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, come detto, ha presentato appello: entro fine mese si conoscerà il destino dell’istanza. Nel fascicolo, d’altronde, ci sono anche altri elementi. Un video, girato negli istanti in cui i poliziotti scendevano nel covo, in cui qualcuno veniva messo in guardia del fatto che «stava scendendo il pm». Misteri. E poi ci sono le consulenze tecniche secondo le quali alle 6.18 di quel 7 dicembre qualcuno inserì delle pen drive nel pc, forse per leggere qualcosa di vitale importanza. Quel qualcuno non poteva essere Inquieto perché mentre il pavimento di casa sua veniva trivellato, lui era stato immobilizzato. 
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