Napoli, dove c’erano bunker ecco case e volontari: «Solo per 4 beni su 10»

Marano e Giugliano sono i municipi che detengono il più alto numero di strutture da valorizzare

O Il momento del sequestro della casa al boss Giuseppe Misso a largo Donnaregina
O Il momento del sequestro della casa al boss Giuseppe Misso a largo Donnaregina
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Martedì 6 Febbraio 2024, 00:00 - Ultimo agg. 7 Febbraio, 07:25
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A Napoli ce ne sono 124 di beni confiscati, secondo l’ultimo monitoraggio dell’assessorato comunale. Sono al centro storico e in periferia, in alcuni casi parliamo di beni di pregio (come quelli a ridosso di Largo Donnaregina), in altri spaccati metropolitani invece si tratta di strutture ordinarie, ma che possono rivestire un ruolo decisivo in materia di emergenza abitativa. È un mondo complesso quello dei beni tolti ai clan, che ha fatto registrare negli ultimi anni un lavoro capillare da parte del Comune di Napoli, di alcuni municipi tra Napoli e Caserta e di altri spaccati regionali.

Agenzia dei beni confiscati, assessorato al Comune e alla Regione sono in campo per valorizzare strutture che non possono rimanere in stato di abbandono. Una partita nella quale sono impegnati l’ex questore Antonio De Iesu (da due anni alla guida dell’assessorato alla Legalità di Palazzo San Giacomo) e il prefetto Mario Morcone, in forza all’assessorato regionale. Dopo anni di stasi, sembra che la macchina della gestione dei beni sia ripartita. Negli ultimi due anni, a Napoli sono state diverse le concessioni assicurate a associazioni di volontariato che si occupano di tematiche sociali, secondo meccanismi amministrativi all’insegna della trasparenza. Uno scenario che offre esempi di eccellenza, ma anche situazioni di particolare stasi e criticità. Parliano di una realtà a macchia di leopardo, dove ci sono stati enti locali che si sono distinti per efficienza e altri comuni che sono stati invece sciolti di recente anche per l’incapacità di dare risposte sul territorio, a proposito di strutture sottratte alla camorra. Un caso per tutti è il comune di Torre Annunziata, sciolto di recente, dove alcuni beni confiscati sono rimasti sotto sigillo, non venendo mai inseriti in un definitivo circuito virtuoso.

Ma proviamo a capire cosa succede alle porte del capoluogo partenopeo o in quella lunga conurbazione che lega Napoli a Caserta. Una parte della provincia di Caserta brilla per efficienza: è il caso dei comuni di Casapesenna, San Marcellino, che hanno mostrato una certa determinazione nella tutela di locali confiscati; alle porte della città, un comune come Marano ha centinaia di beni confiscati, in una partita nella quale è di recente cambiata l’amministrazione locale, dando inizio a una sorta di punto di rottura rispetto al passato. Tra gli esempi di gestione virtuosa, spicca il caso di Quarto, comune nel quale è stata restituita una seconda vita a diverse strutture confiscate (spicca Mehari-Casa della legalità e delle associazioni, dedicata al giornalista del Mattino Giancarlo Siani). Particolarmente critiche sono le condizioni nei comuni di Castelvolturno e di Giugliano, due spaccati metropolitani non lontani dove per anni si è concentrata l’azione investigativa e repressiva in materia di lotta ai clan di camorra. Spiega a Il Mattino, l’assessore regionale e prefetto Mario Morcone: «È una realtà a macchia di leopardo dove, accanto a interventi virtuosi si registrano situazioni di immobilismo. In Campania, abbiamo dato in gestione il 40 per cento dei beni confiscati in uno scenario nazionale in cui il nostro trend offre dei dati di miglioramento abbastanza confortanti».

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Ma proviamo ad approfondire i casi napoletani maggiormente noti. Tra gli indirizzi presenti nell’elenco aggiornato di recente dal Comune di Napoli, spicca l’appartamento di 130 metri quadrati nei pressi di Largo Donnaregina, un tempo appartenuto a un personaggio del calibro di Giuseppe Misso, che - tagliati i ponti con le organizzazioni camorristiche - decise anni fa di collaborare con lo Stato. Un bene incastonato nella sede della curia cittadina, in una delle zone maggiormente prestigiose di Napoli. Attualmente il bene è destinato ad attività di natura istituzionale, all’indomani del blitz della Dda di Napoli (parliamo di quindici anni fa), che restituiva alla collettività l’ex abitazione di Misso. Appartamenti a Secondigliano sono stati invece confiscati alla famiglia Licciardi, in un braccio di ferro che abbraccia almeno trent’anni di storia di lotta alle organizzazioni mafiosi. Come è noto, subito dopo la confisca, bisogna insistere su una manifestazione di interesse e per una assegnazione a titolo gratuito. Parliamo di concessioni che hanno sempre un carattere a tempo, che rappresentano il termine ultimo nel contrasto alle organizzazioni mafiose sul territorio.