Napoli. Camorra, assolto De Micco, il boss dei tatuati di Ponticelli. La Procura aveva chiesto 10 anni

Napoli. Camorra, assolto De Micco, il boss dei tatuati di Ponticelli. La Procura aveva chiesto 10 anni
di Viviana Lanza
Giovedì 14 Gennaio 2016, 09:25 - Ultimo agg. 17:45
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Nessuna condanna per il boss Marco De Micco, il giovane capo del clan dei tatuati di Ponticelli, quelli che per lui nutrono fedeltà e ammirazione tali da farsi imprimere il suo soprannome, Bodo, sulla pelle. De Micco è stato assolto dall'accusa di estorsione. Una sentenza destinata a non far finire qui la partita giudiziaria, verdetto contro il quale c'è da aspettarsi un duro ricorso della Procura.

Per l'imputato, infatti, il pubblico ministero antimafia aveva chiesto una condanna severa, proponendo la pena di dieci anni di carcere. I giudici della quinta sezione del Tribunale di Napoli lo hanno assolto, condannando De Micco a tre anni di reclusione per lesioni personali, reato in cui è stato derubricando uno degli episodi inseriti nei capi di imputazione. Per tutto il resto deve aver prevalso la tesi della difesa (avvocato Claudio Davino e avvocato Stefano Sorrentino) che ha puntato a demolire il teorema accusatorio fin dalle fondamenta, minando l'attendibilità delle ricostruzioni del collaboratore di giustizia Domenico Esposito, evidenziando vuoti o mancanza di coincidenza tra i suoi ricordi e i riscontri investigativi e appellandosi a questioni di diritto sulla qualificazione giuridica di fatti al centro delle accuse. Estorsione il principale capo d'accusa: Marco De Micco è stato l'unico ad aver optato per il rito ordinario affrontando il processo con l'analisi delle prove in dibattimento, i tre affiliati indicati come complici ed esecutori dei suoi ordini sono stati processati con rito abbreviato e condannati. Diverse le posizioni nelle ricostruzioni investigative, diverse le valutazioni dei fatti che un anno e mezzo fa portarono agli arresti e alla svolta nell'inchiesta sul racket imposto nella periferia a est di Napoli a imprenditori e commercianti costretti a pagare una tangente per poter svolgere le proprie attività senza problemi e senza ostacoli. Si trattava del cosiddetto “giro di Pasqua”. De Micco, in particolare, era chiamato a rispondere dell'accusa di aver imposto al titolare di una ditta edile una tangente pari al 3 per cento su lavori da 300mila euro realizzati a Ponticelli e di aver tentato di costringere il titolare di un negozio di abbigliamento a concedere credito alla moglie del fratello, credito che il commerciante rifiutò subendo un terribile pestaggio come punizione. Di qui l'accusa di lesioni per cui De Micco ieri è stato riconosciuto colpevole. A puntare il dito contro di lui era stato il collaboratore di giustizia Esposito, un tempo 'o cinese. Nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere gli inquirenti sottolineavano come «certa» la causale del pestaggio «riconducibile allo “sgarbo” del commerciante». Le indagini ricostruirono anche la dinamica: la vittima venne prelevata e portata al cospetto del boss in un luogo fuori mano, un covo del clan che gli affiliati usavano per commettere azioni di quel genere. De Micco avrebbe chiesto conto e ragione della “scortesia” e giù botte fino a spedire il commerciante in ospedale. Episodio agghiacciante, con modalità tipiche della camorra violenta e prepotente che come finalità, secondo il racconto del collaboratore, aveva quella di «dare una lezione al maleducato negoziante». Quanto alla richiesta di tangente all'imprenditore edile, accadde che gli emissari del clan si recarono a battere cassa, la vittima chiese tempo e probabilmente sconti, pare che avesse tentato anche un contatto proprio con il capoclan (il che ha spinto gli inquirenti a ipotizzare la regìa di De Micco dietro il fatto), fu concessa una rateizzazione e dalle indagini è emersa anche una circostanza singolare: il rimprovero del boss agli emissari che avevano permesso l'avvio dei lavori in mancanza di qualsiasi assenso.

Dopo la sentenza di ieri, a trattenere in cella il giovane capoclan di Ponticelli c'è una condanna a otto anni per associazione camorristica per la quale pende il processo d'Appello. Marco De Micco finì in manette il 10 maggio 2013. Era a un banchetto di nozze, in un noto ristorante della provincia di Napoli. Gli agenti della squadra mobile e del commissariato di Ponticelli lo arrestarono nel bel mezzo della festa. Lui, De Micco, Bodo per i fedelissimi e per i nemici, soprannome ispirato a un cartoon, sfoggiava un look da boss con tanto di Rolex da più di 30mila euro al polso che «nella simbologia camorristica - spiegano gli inquirenti - ne distingue lo status di capo». I pm della Dda che hanno indagato sul suo conto lo descrivono come «il capo indiscusso del sodalizio» almeno sino al momento del suo arresto. Poi la gestione degli affari e delle strategie è stata di fatto ceduta ad altri. Un'ascesa al potere camorrista rapida, la sua, cominciata dopo l'arresto di Adinolfi e l'inizio della latitanza di Angelo Cuccaro. Marco De Micco è riuscito così a conquistare spazi di autonomia, facendo dei giovani che lo affiancavano un vero e proprio clan di camorra.
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