Elettrodomestici, intimo, scarpe, profumi e gioielli pagati con la carta di credito sottratta all’azienda, in via Lamaro, zona Cinecittà, dove lavorava come segretaria. Un furto da 18mila euro che Silvia Corini, 46 anni, alle forze dell’ordine avrebbe giustificato così: «Ho una sindrome da shopping compulsivo». Ora, la donna si trova a processo con l’accusa di furto e utilizzo indebito di carta di credito.
I fatti
Tutto ha avuto inizio nel 2017 quando l’amministratore di due aziende di via Lamaro ha denunciato alla polizia il furto di due carte di credito in uso alle società.
I sospetti
I sospetti delle forze dell’ordine, fin da subito, si sono concentrati su di loro. Ad identificare la dipendente infedele sono stati proprio i suoi acquisti e, in particolare, quelli online che recavano come indirizzo di spedizione la casa dove abita. Silvia Corini, così, nel novembre del 2017 ha trovato la polizia alla sua porta. Gli agenti entrati nell’appartamento hanno eseguito una perquisizione che non ha lasciato spazio ad alcun dubbio: in casa, infatti, c’erano ancora alcuni scontrini delle spese effettuate nei negozi Swarovski e Pandora con la carta aziendale. La segretaria avrebbe provato a giustificarsi così: «Ha dichiarato di avere una sindrome da shopping compulsivo alla quale non riusciva a far fronte – ha riferito in aula uno degli agenti intervenuti - abbiamo ispezionato anche il luogo di lavoro, dove abbiamo trovato delle scarpe». Un altro acquisto “illegale”. Ora, la dipendente dovrà difendersi, in aula, dalle accuse.
I precedenti
I titolari delle aziende si fidano delle segretarie che diventano il braccio destro dei vertici, eppure, non è la prima volta che una dipendente si approfitta della propria posizione lavorativa: a giugno, il tribunale di Roma in composizione monocratica ha condannato, per truffa e accesso abusivo ad un sistema informatico, la segretaria 53enne di uno studio di tatuaggi: 9 mesi di reclusione e pagamento di un risarcimento danni da 7.300 euro. La donna, a conoscenza delle credenziali dell’internet banking dello studio, comprava jeans e test di gravidanza con la carta del negozio e, per gonfiarsi lo stipendio, ogni mese, si faceva bonifici da cento euro, per un totale di 7mila euro. A scoprire il raggiro, il titolare dello studio insospettito dalle spese frequenti e immotivate effettuate con la carta di credito.